STORIA DI UN’AMICIZIA
tratto dalla tetralogia L’amica geniale di Elena Ferrante (Edizioni e/o)
ideazione Chiara Lagani e Luigi De Angelis | con Chiara Lagani e Fiorenza Menni | drammaturgia Chiara Lagani | sound design Tempo Reale/Damiano Meacci | video Sara Fgaier | lyrics Emanuele Wiltsch Barberio | percussioni Cristiano De Fabritiis | ricerca e allenamento coreografico Fiorenza Menni | regia, light design, spazio scenico, progetto sonoro Luigi De Angelis | supervisione tecnica e cura del suono Vincenzo Scorza | tecnico di palcoscenico Mirto Baliani | collaborazione al video Alessandra Beltrame, Davide Minottie Stefano P. Testa | materiali di archivio Associazione Home Movies | Archivio Nazionale del Film di Famiglia | organizzazione Maria Donnoli, Marco Molduzzi | promozione e comunicazione Maria Donnoli | una coproduzione Napoli Teatro Festival, Ravenna Festival, E-production | in collaborazione con Ateliersi | ringraziamenti Lorenzo Gleijeses, Giorgia Sanguineto, Sofia Di Leva, Andrea Argentieri | testi Elena Ferrante (brani da L’amica geniale), Chiara Lagani (brani liberamente ispirati a Frank Lyman Baum, Toti Scialoja, Wislawa Szymborska)
Lo spettacolo si basa sulla storia dell’amicizia tra due donne, seguendo passo passo la loro crescita individuale, il modo di influenzarsi reciprocamente, i sentimenti, le condizioni di distanza e prossimità che nutrono nei decenni il loro rapporto. Sullo sfondo la coralità di una città/mondo dilaniata dalle contraddizioni del passato, del presente e di un futuro i cui confini feroci faticano ancora a delinearsi con nettezza. Il rapporto tra le biografie delle due donne con la storia particolare della loro amicizia e la Storia di un Paese travagliato dalle sue metamorfosi si intreccia in una sorta di agone narrativo che procede per squarci subitanei ed epifanie improvvise attraverso il racconto delle due protagoniste.
Nel romanzo in quattro parti della Ferrante, Un’amicizia era il titolo del libro che raccontava, a posteriori, la vicenda del rapporto tra due donne; Storia di un’amicizia diviene qui, invece, il titolo del racconto, in forma di spettacolo, che Elena Greco (Chiara Lagani) compone a partire dalle vicende di una vita che la legano a Lina Cerullo (Fiorenza Menni), la sua amica geniale.
Nel primo tempo, dedicato all’infanzia, le due amiche, bambine, gettano per reciproca sfida le loro bambole nelle profondità di uno scantinato nero. Quando vanno a cercarle, le bambole non ci sono più. Le due bambine, convinte che Don Achille, l’orco della loro infanzia, le abbia rubate, un giorno trovano il coraggio di andare a reclamarle. Le due attrici si fanno fisicamente attraversare dal testo di Elena Ferrante, la storia è “detta” dai loro corpi e lascerà su di loro un’impronta indelebile fino a trasformarle in una strana doppia ibrida identità, che porta su di sé l’impronta della bambina, della donna e della bambola al contempo.
Nel secondo tempo succedono molte cose: Lila si sposa, acquistando un nuovo cognome che la separa irreparabilmente da una intera fase della sua vita. I signori del rione, i fratelli Solara, vogliono adoperare l’immagine di Lila in abito da sposa per realizzare un grande manifesto da appendere nel negozio di scarpe, un tempo Cerullo, ora Solara. Lila, nel disperato tentativo di riaffermare il proprio controllo su quell’immagine, e così sulla sua vita, accetta di esporla, ma solo a patto di poterla modificare. La seconda parte dello spettacolo inizia proprio con la storia di quest’immagine, che sarà spezzata, incisa, violentemente trasformata dalle amiche, divenendo uno strano, evocativo emblema della loro storia.
Infine, la maternità. Anche Elena, nel frattempo, si è sposata e ha avuto due figlie con Pietro Airota, un brillante compagno di Università. Si è allontanata dal rione per studiare e poi scrivere. Si è allontanata anche da Lila. Lila, dopo la fine del suo matrimonio, e dopo una burrascosa storia con Nino, l’antico amore di Elena, va a vivere con Enzo, compagno di scuola di un tempo. Quando Lila rimane incinta di Enzo, anche Elena è incinta, ma di Nino, ora suo amante. È forse questa maternità parallela che riattiva il legame, mai interrotto, tra le amiche. Le due bambine (Tina, la figlia di Lila, e Imma, la figlia di Elena) crescono insieme, specchio dell’amicizia tormentata delle madri. Finché un giorno, all’improvviso, Tina scompare…
TOUR
22/23 giugno 2018 | Napoli, Teatro Politeama
5 luglio 2018 | Ravenna, Teatro Alighieri
29 agosto 2018 | Bassano del Grappa, Teatro Remondini
26/27/28 ottobre 2018 | Milano, Teatro Franco Parenti
3 novembre 2018 | Riccione, Spazio Tondelli
30 gennaio 2019 | Trento, Teatro Sociale
16 febbraio 2019 | Ravenna, Teatro Rasi
21/23/24 febbraio 2019 | Roma, Teatro Villa Torlonia
16/17 marzo 2019 | Modena, Teatro delle Passioni
2/3 ottobre 2019 | San Paolo del Brasile, Sesc Pompeia
17 dicembre 2019 | Como, Teatro Sociale
25 gennaio 2020 | Casalecchio di Reno (BO), Teatro Comunale Laura Betti
8 febbraio 2020 | Rimini, Teatro degli Atti
15 febbraio 2020 | Casalmaggiore (CR), Teatro Comunale
8 marzo 2022 | Milano, Teatro Carcano
26/27 marzo 2022 | Bologna, Teatro Arena del Sole
12/13 gennaio 2023 | Rovereto, Teatro Zandonai
26-28 gennaio 2023 | Torino, Teatro Astra
11 marzo 2023 | Parma, Teatro al Parco
foto Enrico Fedrigoli
RASSEGNA STAMPA
Storia di un’amicizia, di Laura Bevione | Dramma.it, 28 gennaio 2023
A partire dai quattro libri della serie romanzesca iniziata con il clamoroso successo di L’amica geniale, Chiara Lagani costruisce un copione che, suddiviso in tre parti, non vuole essere tanto una sintesi/bignami della tetralogia di Elena Ferrante, bensì un personalissimo eppure fedele approfondimento di quei momenti ovvero episodi giudicati particolarmente significativi e densi di risonanze individuali e collettive. Il prologo dello spettacolo – messo in scena con Luigi De Angelis e con Fiorenza Menni, quest’ultima coprotagonista sul palcoscenico – è il medesimo del primo romanzo e, come in quel caso, consente di avviare una narrazione che, da qui, procede quale lungo flashback, punteggiato da ellissi che, tuttavia, non compromettono coerenza e comprensibilità del racconto. La prima parte è incentrata sull’infanzia delle protagoniste – Lenù (Lagani) e Lila (Menni) – e, in particolare sull’episodio delle bambole – doppi inanimati e perturbanti delle due amiche – che è prescelto quale motivo unificante e ricorrente dello spettacolo stesso che, nella seconda parte, acquista anche maggiore estensione scenica. Ci spieghiamo: mentre l’esordio è agito quasi in proscenio, le attrici bianco-vestite di fronte al pubblico e immerse in una sorta di camera oscura, nella seconda parte il palcoscenico si apre a rivelare sul fondo un telo su cui sono proiettate immagini d’epoca – materiali provenienti dall’Associazione Home Movies-Archivio nazionale del film di famiglia.
La narrazione stessa pare acquisire così maggiore distensione e, dalla claustrofobia dello scantinato in cui sono state gettate le bambole e, più in generale, di un’infanzia trascorsa nella soffocante atmosfera dei bassi napoletani, si trascorre all’adolescenza e all’esplorazione dell’esistenza esterna al grembo materno. Il matrimonio di una giovanissima Lila mentre Lenù inizia il ginnasio e, ancora, una fotografia della prima esposta in un negozio di scarpe del centro, ma solo a una particolarissima condizione…
La terza parte segna poi un ulteriore, netto, salto temporale: le due amiche sono oramai donne, hanno cambiato compagni di vita, sono diventate più volte madri e ora stanno entrambe affrontando una gravidanza – le due interpreti appaiono in scena con voluminose pance posticce. Tutte e due mettono al mondo una bambina ma il destino delle piccole sarà molto diverso, allontanandole certo ma non spezzando quel legame che le aveva fatalmente unite durante l’infanzia.
I tre capitoli/atti dello spettacolo segnano dunque altrettante tappe nell’esistenza delle protagoniste, di cui è delineata la formazione di una personalità magari contradditoria eppure salda e peculiare. Ritratto realizzato in scena non tradendo la natura narrativa del testo di partenza e, nondimeno, traducendo la parola scritta in materica espressione teatrale, modulando in una sinfonia coesa dialoghi e descrizioni, monologhi e raccordi espositivi e accompagnando l’espressione verbale a una minuziosa drammaturgia gestuale. Ciò che va in scena, così, non è una semplice “trasposizione” della tetralogia scritta dalla misteriosa Elena Ferrante – com’è avvenuto, invece, nel caso della serie televisiva – bensì un’originale e autonoma variazione teatrale di spunti narrativi e tematici – in primo luogo la lotta per affermare l’esclusivo controllo sulla propria vita – tratti da romanzi certamente amati e approfonditamente letti e compulsati e quindi utilizzati quale fertile e manipolabile materia di ispirazione e creazione originale.