ORFEO NEL METRÒ
musiche di Claudio Monteverdi
un progetto di Luigi De Angelis e Hernán Schvartzman | direttore Hernán Schvartzman | regia, scene e luci Luigi De Angelis | costumi Chiara Lagani | video e assistente alla regia Andrea Argentieri
Orfeo Antonio Sapio | Euridice, Eco, Speranza Veronica Villa | Musica, Proserpina, Messaggera Arianna Stornello | Caronte, Plutone Lorenzo Tosi | Apollo, Pastore II Michele Gaddi | Pastore I Danilo Pastore | Pastore III Stefano Maffioletti | Pastore IV Marco Tomasoni | Ninfa Martha Rook | Spiriti infernali Danilo Pastore, Michele Gaddi, Stefano Maffioletti, Marco Tomasoni, Piero Facci
Produzione originale Muziektheater Muziektheater Transparant, Anversa 2017 | Nuova produzione Teatro Comunale A. Ponchielli per il Monteverdi Festival Cremona | in collaborazione con Civica Scuola Di Musica Claudio Abbado di Milano e Compagnia Fanny & Alexander/ e production
Presentato il 2/3/4 maggio 2019, Teatro A. Ponchielli di Cremona
Una produzione lirica sui generis, in cui spazio scenico e platea si fondono in un unico spazio ravvicinato, ovvero il vagone di una immaginaria metropolitana underground. Artisti e pubblico intraprendono un viaggio nel mondo sotterraneo, insieme al nostro Orfeo monteverdiano, in una esperienza ‘immersiva’ totale. Protagonisti giovani cantanti e musicisti della Civica Scuola di Musica Claudio Abbado di Milano, guidati dallo sguardo contemporaneo del regista italiano-belga Luigi De Angelis.
SE ORFEO CERCA EURIDICE IN METROPOLITANA
Il nostro Orfeo è un Orfeo metropolitano: l’idea del vagone e della vita che brulica all’interno nasce in relazione al viaggio oltremondano di Orfeo che tenta di riavere la sua Euridice e il mondo sotterraneo della metropolitana che per certi versi è un altro mondo. Il riferimento è quello della metropolitana di Buenos Aires e la marea di venditori ambulanti che vi si esibiscono come in un continuo spettacolo a cui i viaggiatori assistono in un continuum performativo fuori dal tempo. Un atto creativo di seduzione degli astanti tramite le arti. Da questa suggestione è partito l’allestimento e la scommessa di portare la storia di Orfeo all’interno di un vagone che può essere quello della metropolitana, ma anche di un treno. Il senso è quello del viaggio e dell’attraversamento di un mondo che per Orfeo è il mondo dell’oltretomba, ma che per me rappresenta il regno profondo che abitiamo ogni giorno nel nostro quotidiano, nel rapporto con la nostra parte animica, col nostro lato più emozionale, più antico. In un mondo sempre più robotico e anestetizzato, in cui le emozioni sono trattenute, rimosse, stereotipate, commercializzate, per lo più congelate, la storia di Orfeo, la sua ferita, la sua reazione e rielaborazione del dolore offrono la possibilità, in un contesto così vicino a noi, di risuonare nel profondo, di permettere allo spettatore l’identificazione immediata.
Mito e quotidianità si sposano perfettamente, nella nostra cultura, nella nostra psiche. Il viaggio di Orfeo è un viaggio iniziatico, esemplare, attraverso le fasi dell’innamoramento, della perdita, della reazione e della guarigione. Chi, nella vita non si è inna-morato, non ha perso qualcosa, non ha dovuto reagire e confrontarsi con forze a lui straniere interne e esterne ed ha cercato di reagire? È questa davvero una storia di tutti i giorni….
Orfeo era una figura sciamanica, curativa. Come gli sciamani, Orfeo deve scendere agli inferi, nel mito originale viene addirittura sbranato dalle Baccanti, come Dioniso. Il viaggio animico dello sciamano, del guaritore, contempla sempre la parabola dello smembramento in seguito a una discesa agli Inferi, a contatto con la propria parte nera, con le proprie forze o divinità infuriate. Lo smembramento è necessario ai fini della metamorfosi e dell’elevazione celeste successiva, che, più laicamente, potremmo identificare nella guarigione e nella crescita interiore.
A Cremona, il progetto nasce con giovani musicisti della Scuola Civica Claudio Abbado e un cast di giovani cantanti. Sono tutti incredibilmente genuini, disposti a mettersi in gioco e a confrontarsi con il contagio delle emozioni in un contesto ‘realistico’. Ispirandomi al Poema a fumetti di di Dino Buzzati, la realizzazione dei graffiti per il vagone è stata affidata agli studenti del Liceo artistico Stradivari. L’obiettivo è quello di capire e leggere il mito di Orfeo in una contemporaneità non pretestuosa, ma che si nutre dell’invariante propria del mito: il viaggio nelle profondità della psiche, l’amore senza confini, la possibilità della metamorfosi interiore, della guarigione dalla tossicità della ferita e della relazione simbiotica. Abbiamo realizzato, assieme a Andrea Argentieri, i video in città che verranno proiettati nei finestrini di questo metrò leggero dando il senso del viaggio, ma anche recuperando le coordinate spaziali di strade, vie e piazze magari familiari ma che in questo contesto rappresentano altro. Chiara Lagani ha firmato i costumi, scolpendo ulteriormente la drammaturgia dell’opera, sottolineandone la ricchezza di ambivalenze tra il piano della veglia e quello del sogno.
Orfeo in metrò ha una messinscena molto dinamica, in cui la partitura è sostanzialmente rispettata, ed emerge la contemporanei-tà di Monteverdi. L’attenzione alla partitura e al disegno drammaturgico monteverdiano si sposa perfettamente, o almeno così io e Hernàn Schvartzman crediamo, con il nostro Orfeo viaggiatore. Il valore aggiunto di questa esperienza sta nell’aver creato una verità empatica che mi auguro sorprenda il pubblico come ha sorpreso me. Tutto questo è avvenuto lavorando sul mito di Orfeo, mito universale certo, mito della forza della poesia e del bisogno dell’uomo di sconfiggere la morte, una favola che i giovanissimi miei compagni di viaggio hanno saputo magnificamente far loro.
Luigi De Angelis
[foto in metro]
RASSEGNA STAMPA
Sergio Lo Gatto, Orfeo nel metrò a Cremona. Di forme mutate in corpi nuovi
Mario Bianchi, Orfeo nel metrò. Fanny & Alexander in viaggio con Monteverdi
Maria Teresa Giovagnoli, Orfeo nel metrò al Teatro Ponchielli per il Monteverdi Festival
Simone Manfredini, Teatro Ponchielli: Orfeo nel metrò
Nicola Arrigoni, Orfeo è un millennial… Monteverdi si fa contemporaneo
Claudio Gagliardini, Un devastante Orfeo nel Metrò al Ponchielli di Cremona
Davide Cornacchione, Orfeo, agli inferi in metrò
Maddalena Schito, A Cremona Orfeo è un millennial
Orfeo nel metrò a Cremona. Di forme mutate in corpi nuovi, di Sergio Lo Gatto / Teatro e Critica / 10 maggio 2019
Salendo nella metropolitana di una grande città spesso ci troviamo di fronte a una parata di musici che, tristemente alternati a quella dei mendicanti, accompagna e a volte sovrasta il fragore dei binari con sonorità klezmer, stornelli, canti a cappella o rap. Questa immagine ha colpito il regista Luigi De Angelis (con Chiara Lagani fondatore di Fanny & Alexander) e il musicista e direttore d’orchestra argentino-olandese Hernán Schvartzman al punto da spingerli a immaginare una versione di Orfeo di Claudio Monteverdi ambientata in uno scompartimento ferroviario, finemente ricostruito sul palco del Teatro Amilcare Ponchielli di Cremona. Orfeo nel metrò apre la 36esima edizione del Festival Claudio Monteverdi nel capoluogo lombardo, invitando centoventi spettatori a replica (per una tenitura invero troppo breve) a riempire sul palco due file di sedie poste ai lati, con in mezzo un’azione scenica dinamica e straordinariamente curata.
Un gruppo di giovani professionisti del canto accorda le complesse armonie monteverdiane sulla partitura originale del 1607, qui eseguita con grande precisione dall’ensemble della Civica Scuola di Musica Claudio Abbado di Milano. Il mito greco, musicato dal compositore cremonese su libretto di Alessandro Striggio, racconta l’amore e le nozze dei giovani Orfeo ed Euridice, la tragica morte di quest’ultima, il viaggio dello sposo nell’Ade nel tentativo di riportarla in vita, il fallimento della missione, il dolore della perdita, infine il conforto del sogno, quando il dio Apollo assicura la vita eterna di Euridice, regalata al cielo in forma di stella.
A colpire di questo esperimento è innanzitutto l’utilizzo dello spazio: una pedana in pendenza concede al “vagone” la propria profondità, creando un punto di fuga dove si anima l’orchestra, lasciando il corridoio come palco dove i cantanti-attori interagiscono tra loro e con il pubblico; cinque “appositi sostegni” a cui sorreggersi e due file di finestrini dove scorrono ora immagini della tratta Cremona-Mantova (proprio a Mantova debuttava l’opera), ora il feed in tempo reale dagli smartphone con tanto di selfiestick, nei video a cura di Andrea Argentieri.
Salendo sul trampolino già costruito nel 1969 da Dino Buzzati con il suo Poema a fumetti – antesignano della graphic novel – che immaginava Orfi un musicsta rock ed Eura la sua giovane fiamma, Chiara Lagani realizza una traccia visiva forte e significante, fatta di pareti aerografate (dagli studenti dell’Istituto di Istruzione Superiore “Antonio Stradivari”) in cui si riconoscono in forma di “tag” brani di testo del libretto e del fumetto. Gli abiti ordinari ospitano applicazioni di stoffa raffiguranti occhi e di bocche, ulteriore richiamo del genio di Buzzati e però anche di un preciso ragionamento sul concetto di sguardo e di voce, il binomio tragico che condannerà Orfeo alla perdita dell’amata.
È con cura meticolosa che la regia trasmuta i simboli originali dentro un’ambientazione metropolitana: pastori e ninfe diventano cantanti di strada impegnati a vendere (per davvero, a 5 euro al pezzo) incisioni su CD ai passeggeri; la notizia di Euridice uccisa dal serpente irrompe come breaking news sugli schermi LCD, con tanto di servizio ad opera dei veri giornalisti del TG regionale; Orfeo pizzica un basso elettrico al posto della lira; Plutone compare in video (sempre live) dalla camera di comando della stazione Metro Ade. Il lavoro sull’espressività dei cantanti specialmente nelle controscene – cambi di posizione, minuscoli sguardi, sorrisi – va a cesellare una rete di legami empatici tra gli interpreti in grado di affrontare in maniera vincente le peculiarità della situazione di fruizione, mentre la platea del Ponchielli si svela da dietro a una parete mobile e interpreta l’imponente e rosso sanguigno vuoto dell’Ade.
La performance dei cantanti e dell’ensemble (che fa vibrare strumenti antichi) riesce a omaggiare sonorità e fraseggi, ricordando la libertà di interpretazione propria della partitura di Monteverdi; timbriche sorprendentemente mature passano da una devozione totale al canto barocco alle ultime tracce della musica rinascimentale, fino all’affascinante richiamo al canto lirico più vicino a noi. Merito anche dell’attento governo dell’acustica di sala, sfruttata al meglio con ritorni precisi, che impediscono il disperdersi delle note finali, proverbialmente raccolte in garbati accordi in maggiore. Se i protagonisti offrono cuore e disciplina, non sono da meno gli interpreti delle parti minori; e proprio nella rigogliosa presenza di giovani talenti questa operazione – già in parte sperimentata due anni fa al Muziektheater Trasparant di Anversa – raccoglie un senso politico forte, lontano dalla retorica. In apertura di una stagione intitolata Contrasti Creativi, questa esperienza scenica si dimostra capace di istituire un equilibrio decisivo tra tradizione e sperimentazione, plasmando il materiale e i suoi interpreti fino a offrire agli occhi di entusiasti spettatori certe “forme mutate in corpi nuovi”.
Orfeo nel metrò. Fanny & Alexander in viaggio con Monteverdi, di Mario Bianchi / KLP Teatro / 6 maggio 2019
Molteplici sono state le ragioni che ci hanno fatto decidere di andare a Cremona per la rappresentazione dell’Orfeo di Claudio Monteverdi. Oltre che, ovviamente, la passione incondizionata per quest’autore e per questa sua opera, considerata il primo vero capolavoro della storia del melodramma, la curiosità di partecipare al Festival Claudio Monteverdi dedicato al compositore, e ancora per la particolare messa in scena dell’opera, dovuta a Luigi De Angelis, regista della compagnia Fanny & Alexander, che seguiamo passo passo da anni.
“Orfeo nel metrò” è una produzione lirica sui generis. Lo spazio scenico e la platea del Teatro Ponchielli si fondono in un unico spazio, che rimanda nella sua costruzione ad un vagone di una immaginaria metropolitana in cui gli spettatori, 120 alla volta, accanto a cantanti e musicisti, diventano i passeggeri di un viaggio molto speciale.
“La favola in musica” dedicata al cantore Orfeo fu scritta da Claudio Monteverdi su libretto di Alessandro Striggio, e si compone di un prologo e cinque atti.
Basata sul mito greco di Orfeo, racconta la sua discesa all’Ade e il tentativo di riportare la sua defunta sposa Euridice, uccisa dal morso di un serpente, alla vita terrena. Composta nel 1607, per essere eseguita alla corte di Mantova nel periodo carnevalesco, dopo l’anteprima – rappresentata all’Accademia degli Invaghiti il 22 febbraio 1607 -, il debutto avvenne il 24 febbraio al Palazzo Ducale di Mantova. Lo spartito venne pubblicato da Monteverdi nel 1609 e nuovamente nel 1615 con un finale diverso.
L’opera, come detto, inizia con un prologo, in cui vi è la richiesta di silenzio dall’allegoria della Musica. Ogni atto è collegato ad un singolo elemento della storia, e si conclude con un coro. All’azione partecipano dei, ninfe, la Speranza e la Musica.
Nel primo atto Orfeo ed Euridice entrano insieme con un coro di ninfe e pastori; uno di loro annuncia che è il giorno di matrimonio della coppia e il coro risponde inizialmente con una invocazione e successivamente con una gioiosa danza (“Lasciate i monti, lasciate i fonti”) con l’introduzione musicale, il momento più famoso dell’opera, accompagnata poco dopo dal trascinante motivo di “Vi ricordo o monti ombrosi”. Orfeo ed Euridice cantano il loro reciproco amore, prima di lasciarsi con tutto il gruppo della cerimonia matrimoniale nel tempio.
L’atto secondo è dominato dall’ingresso della Messaggera, che comunica che Euridice è stata colpita dal fatale morso di un serpente nell’atto di raccogliere dei fiori. Orfeo, dopo avere espresso il proprio dolore e l’incredulità per l’accaduto, comunica l’intenzione di scendere nell’Aldilà per persuadere Plutone a resuscitare Euridice.
Orfeo viene quindi guidato da Speranza alle porte dell’Inferno. Dopo avere letto le iscrizioni sul cancello (la dantesca “Lasciate ogni speranza, ò voi ch’entrate”), Speranza esce di scena. Orfeo, con un escamotage che gli appartiene, inganna Caronte, che si era rifiutato di portarlo attraverso il fiume Stige: lo incanta con la sua lira “Possente spirto, e formidabil nume”, altro momento sublime di questo meraviglioso capolavoro, che il giovane e talentuoso tenore Antonio Sapio canta accompagnandosi con un basso elettrico.
Il quarto atto inizia con Proserpina, regina degli Inferi, anch’essa incantata dalla voce di Orfeo, che convince il marito Plutone a riportare Euridice. Il re dell’Ade, persuaso dalle suppliche della moglie, acconsente, a condizione che Orfeo non guardi mai indietro Euridice. Ma lo sposo, spinto dalla commozione, si gira, mentre l’immagine di Euridice comincia lentamente a scomparire accompagnata dal coro.
L’ultimo atto vede Orfeo prodursi in un lungo monologo in cui lamenta la perdita dell’amatissima sposa. Improvvisamente, su una nuvola, Apollo (a cui dà sapiente credibilità interpretativa Michele Gaddi) scende dal cielo e lo invita a lasciare il mondo e a unirsi a lui nei cieli, dove troverà Euridice tramutata in una stella. Un coro di pastori conclude l’opera.
Nell’ideazione di Luigi De Angelis, interpreti e pubblico intraprendono un viaggio nel mondo sotterraneo insieme al protagonista, in una esperienza ‘immersiva’ totale.
I costumi di Chiara Lagani, abituale compagna di avventure creative di De Angelis, sono ispirati a “Poema a fumetti” di Dino Buzzati, come anche le pareti del vagone, istoriate dagli studenti del Liceo Artistico Stradivari di Cremona. Buzzati non fu infatti solo uno scrittore di grande visionarietà, ma anche grafico e pittore, e con “Poema a fumetti” del 1969 inventò una sorta di romanzo grafico, opera allora assai sperimentale, considerata una delle prime graphic novel. La trama di Buzzati ricalcava quella del mito in questione ma in chiave moderna, con protagonista Orfi, un cantautore rock.
Nello stesso modo si muove lo spettacolo visto a Cremona. Seduti come se fossimo in uno scompartimento, dai finti finestrini dislocati nello spazio scenico possiamo seguire il viaggio attraverso le immagini che vi scorrono, precedentemente catturate da Andrea Argentieri tra Cremona, Mantova e Milano negli antri della metropolitana. Dietro i finestrini intravvediamo, con felice immaginazione, anche le anime dei morti, quando giungiamo nell’aldilà.
Nei visori dislocati sulla scena si potrà inoltre seguire un telegiornale in cui si annuncia la morte di Euridice, e perfino Caronte, novello capo della sicurezza della metropolitana, che si addormenta nella sala dei comandi, al suono del canto di Orfeo.
Nell’allestimento di De Angelis, dunque, vi è il tentativo coraggioso di contaminare la sacralità della musica monteverdiana con una visionarietà contemporanea, spesso coerente e riuscita, costruita in uno spazio composito che si apre sapientemente in mille direzioni. Ci piacciono meno il ripetivo uso dei selfie, Plutone in tuta mimetica che chiede l’identità dei passeggeri e altri piccoli escamotage che intendono coinvolgere il pubblico in modo spesso superficiale.
Ma questa edizione del capolavoro monteverdiano è contrassegnata anche dalla presenza sul palco di interpreti giovanissimi. E’ infatti commovente vedere ragazzi e ragazze misurarsi con un canto e una musica difficilissima da interpretare perché unica nel suo stile, che ha messo in difficoltà esecutori di ben più provata maturità interpretativa. Certo non sempre, e non tutti i giovani cantanti, scelti con un bando, reggono la prova, ma lo spirito del Divino Claudio ci è spesso arrivato, anche per merito del direttore Hernán Schvartzman e dei musicisti della Civica Scuola di Musica Claudio Abbado di Milano.
“Orfeo nel metrò” ha così inaugurato la trentaseiesima edizione del festival dedicato a Monteverdi, che proseguirà con 16 spettacoli e una crociera sul Po fino al 1° giugno, avendo come filo conduttore il tema dei “Contrasti creativi” ben rappresentati dall’apertura di De Angelis.
Orfeo nel metrò al Teatro Ponchielli per il Monteverdi Festival, di Maria Teresa Giovagnoli / MTG Lirica / 6 maggio 2019
Il titolo di questo spettacolo offerto dal Ponchielli di Cremona fa già presagire che l’Orfeo proposto per il Festival Monteverdi di quest’anno si discosta notevolmente dall’immagine fatata ed eterea che nel nostro immaginario associamo da sempre alla favola dello sfortunato amante e poeta. Il protagonista è molto vicino a noi e lo sono tutti coloro che ruotano attorno al suo viaggio nella vita e nell’aldilà. È proprio dall’idea del viaggio che il regista Luigi De Angelis è partito per ambientare la vicenda fantastica in una attualissima metropolitana, che entra ed esce dai suoi tunnel così come la vita di Orfeo sembra entrare nel tunnel della morte, uscirne carico di speranza nel riavere la sua amata, e ripiombare nell’oscurità perdendola di nuovo. Ma è anche un viaggio verso la ricerca di sé, verso una propria identità, così come è la vita per tanti giovani di oggi forse un po’ smarriti dalle incertezze della quotidianità. Il moderno Orfeo trova conforto tra le braccia di Apollo, ma qui non significa ascendere necessariamente al cielo, può essere un amico, un saggio consigliere, una persona cui appoggiarsi e con cui crescere. Ecco dunque che tutto viene spostato anche fisicamente in uno spazio decisamente concreto in cui anche il pubblico è chiamato a partecipare.
Siamo infatti proprio sul palcoscenico del Ponchielli a sipario chiuso e sistemati in file ordinate proprio come durante un viaggio in metrò o in treno, che in questo caso presenta il tragitto Cremona – Tracia sui display che ne visualizzano le tappe. Le esterne realmente girate da finestrini sono a cura di Andrea Argentieri. Siamo dunque immersi in una normale giornata da pendolari, con venditori ambulanti che passano ad offrire la propria merce, soldati dell’esercito che effettuano controlli dei documenti a campione, donne agghindate che si ritoccano il make up, un ragazzo che distribuisce cartellini in cerca di offerte, una sintesi insomma di tutte le figure tipiche che si incontrano solitamente nei treni delle città metropolitane affollate.
Cosa c’entra Monteverdi? Qui sta l’abilità della collaborazione tra regista e direttore nel saper cogliere la modernità della musica del cremonese. Assieme al Maestro Hernán Schvartzman la dinamicità prevista dallo spettacolo, ovviamente a trecentosessanta gradi per offrire una visuale partecipe a tutti i ‘passeggeri’, si sposa perfettamente con la lettura fresca ed appunto dinamica della partitura, con i suoi guizzi melodici e gli slanci lirici, mai pesanti o troppo languidi, grazie anche al fatto che i professori dell’ Orchestra Barocca della Civica Scuola di Musica “Claudio Abbado” è composta da giovani ed anche giovanissimi musicisti, la cui freschezza si riflette anche nel modo di suonare taluni strumenti delicati che all’orecchio del moderno potrebbero sembrare desueti. Anche l’interazione con i protagonisti e qualche piccola aggiunta al libretto contribuisce a rendere più verosimile certe situazioni. Appropriato l’uso da parte di Orfeo della chitarra elettrica in luogo della cetra, sfruttando anche le abilità di strumentista del tenore. Chiara Laganihe veste in linea con l’epoca i ragazzi in scena.
La giovanissima compagnia di canto impegnata in questa produzione che arriva da Anversa va apprezzata per la capacità di mettersi notevolmente in gioco e di offrire una interpretazione molto personale ed in accordo con quanto il regista aveva in mente. Non solo tenore, ma anche chitarrista ed ottimo attore Antonio Sapio nei panni dell’Orfeo viaggiatore. Il ragazzo conosce la bella Euridice in treno ed è subito scintilla, con il benestare di tutti gli amici o semplici compagni occasionali di viaggio. Tra selfie spensierati e danze di gruppo il ragazzo mostra anche un bel timbro morbido con un buon controllo dell’emissione e sicuramente vanta le basi per una bella e promettente carriera. Altrettanto interessante l’istrionica Arianna Stornello impegnata in più ruoli. Non solo una eccentrica Musica che offre pure una performance ai viaggiatori con successiva vendita dei suoi CD promozionali, ma anche dolente Mesaggera ed accorata Proserpina in veste militare, che riconosce lo sfortunato passeggero durante la sua ispezione ed intercede presso il burbero collega Plutone. Il soprano è in grado di trascinare la compagnia di canto con la sua grinta ed ha all’attivo una voce ed una verve che la porteranno lontano. Profonda e tuttavia ben sonora, la voce di Lorenzo Tosi è incredibile data la giovane età. Il suo Caronte è un capo macchinista che nella stanza dei bottoni controlla la situazione treni ed ascolta estremamente annoiato le turbe del povero protagonista, salvo poi come è noto addormentarsi e dunque lasciare il passo. È altresì un Plutone severo che, forte della sua uniforme, concede il ritorno della giovane defunta, ma come sappiamo solo a fronte della difficile prova. La dolce Euridice è anche Eco e Speranza. Una semplice passeggera di un treno che tocca la felicità solo per un istante, per poi finire nell’Ade morsa dal serpente, la cui notizia viene anche diffusa dal notiziario sulle tv a bordo del treno (forse elemento un po’ Kitsch dello spettacolo). Il soprano embra un po’ emozionato, ma è capibile data l’estrema vicinanza con il pubblico tra cui è seduta spesso, la voce è delicata e gradevole al suono e l’interprete deliziosa. La Ninfa è una Martha Rook molto partecipe. Generalmente positiva la prova dei pastori Michele Gaddi, qui anche Apollo in veste di tennista/istruttore (anche di vita?) del caro Orfeo, con Danilo Pastore, Stefano Maffioletti, Marco Tomasoni, che insieme a Piero Facci sono stati anche spiriti infernali, ossia ombre dalle forme sfumate dietro i finestrini del treno in corsa. Da notare che tutti erano reduci della recita pomeridiana e che quindi meritano un plauso per la professionalità e la resa dopo aver già cantato tutto lo spettacolo.
Infine le scene sono state decorate dagli studenti dell’Istituto di Istruzione Superiore ‘Antonio Stradivari’, in linea con la giovialità dell’intera produzione.
Pubblico raccolto nel vagone speciale del palco, concentratissimo e partecipe (nel vero senso scenico della parola), soddisfatto e festante al termine.
Teatro Ponchielli: Orfeo nel metr, di Simone Manfredini / Operaclick / 6 maggio 2019
Cremona inaugura l’edizione 2019 del suo Monteverdi Festival presentando, sul palcoscenico del teatro Ponchielli, la figura di un Orfeo metropolitano che intraprende al fine di recuperare la sua Euridice il proprio viaggio, fisico e al contempo spirituale, all’interno del vagone di un treno che, dopo aver attraversato verdi paesaggi padani, giungerà fino al centro della terra, nell’Ade.
L’allestimento è uno di quelli che lasciano il segno, tengono desta l’attenzione e l’immaginazione dello spettatore dall’inizio alla fine, senza cedimenti; l’idea registica di Luigi De Angelis appare per certi versi geniale e vuole rappresentare il viaggio quotidiano di ognuno di noi all’interno del proprio subconscio alla ricerca del lato emozionale di ogni individuo che, attraverso la rielaborazione del dolore, si rapporta col mondo e coi propri simili. Il pubblico è posizionato su due file di sedie all’interno di un vagone, della cui decorazione a graffiti va il merito agli alunni dell’Istituto di Istruzione superiore “Antonio Stradivari”. Il treno parte: il tragitto va dalla stazione di Cremona in direzione Mantova con capolinea a Campi di Tracia e ritorno; lungo il percorso dai finestrini si scorgono, grazie ai bei video pensati da Andrea Argentieri, filari di pioppi e campi perfettamente arati che si trasformano ben presto, al momento della calata agli Inferi, nei tetri tunnel delle metropolitane bresciana e milanese, illuminati solo dalle fredde luci di servizio. Mito e quotidianità si intrecciano indelebilmente, i protagonisti interagiscono col pubblico come dei normali venditori di CD e cianfrusaglie varie o cantanti improvvisati all’interno di un metrò qualunque. I monitor posti al centro del vagone trasmettono l’itinerario del viaggio, ma anche un breve telegiornale con la radiocronaca inerente l’incidente occorso alla povera Euridice che è incorsa nella morte a causa di un pericoloso rettile fuggito chissà da dove.
La regia cura ogni dettaglio, ogni particolare, a partire dal numero del treno che nell’andata è il numero 1607, data della prima rappresentazione dell’opera a Mantova, e al ritorno il numero 1609, in riferimento all’anno della prima stampa. Davvero bravi tutti i protagonisti a coinvolgere nella vicenda, con la freschezza, la naturalezza e la spontaneità di attori provetti, gli spettatori presenti, rendendoli partecipi dei fatti. I costumi di Chiara Lagani non possono che puntare su look che vanno dal gotico al casual, dallo sportivo all’urban con quel miscuglio di colori e stili tipico di una metropoli contemporanea.
Hernán Schvartzman si sforza, e in parte vi riesce, di dare compattezza sonora all’Orchestra barocca della Civica Scuola di musica Claudio Abbado, ma l’ensemble non sempre si mostra all’altezza, soprattutto per quanto riguarda i fiati, palesando una certa immaturità che sfocia in un suono generico e in una esecuzione che nell’insieme risulta ancora un poco scolastica. Giovanissimi tutti i membri del cast e proprio per questo con grandi margini di miglioramento a tutti i livelli. Convincente, sebbene a tratti perfettibile nel canto di agilità, l’Orfeo di Antonio Sapio: il timbro è un po’ chiaro, ma piacevolissimo, l’interpretazione intensa, l’emissione ben calibrata in tutti i registri. Perfettamente in parte Arianna Stornello che interpreta Musica, Messaggera e una volitiva Proserpina in abiti militari; la voce è solida, corposa e ricca di sfumature, la tecnica sicura nonostante la giovane età. Davvero debole, per non dire flebile, Veronica Villa, nei panni di Euridice, Eco e Speranza, che palesa purtroppo qualche problema di intonazione. Voce profonda e ricca di armonici per Lorenzo Tosi che incarna perfettamente sia un Caronte sonnolento che trasmette la propria immagine dalla “stanza dei bottoni” della metropolitana, sia un Plutone soldato intento a controllare i documenti dei passeggeri in compagnia della moglie.
Emissione generalmente omogenea per Michele Gaddi che veste i panni, oltre che di uno dei quattro pastori, anche di un Apollo in calzoni corti che guida per mano Orfeo verso una nuova prospettiva delle cose. Convincenti gli altri tre, impersonati da Danilo Pastore, Stefano Maffioletti, Marco Tomasoni, decisamente poco a fuoco, invece, la ninfa di Martha Rook.
Orfeo è un millennial… Monteverdi si fa contemporaneo, di Nicola Arrigoni / La Provincia di Cremona / 4 maggio 2019
Il viaggio di Orfeo in metrò – inventato dal regista Luigi De Angelis e dal direttore Herman Schvartzman – è di più dell’intuizione di ambientare la favola pastorale monteverdiana all’interno di un vagone di metropolitana leggera che porta gli spettatori da Cremona alla Tracia passando per Mantova, in doppia replica oggi (sabato 4 maggio) alle 15 e alle 21 sul palcoscenico del Ponchielli. E’ di più di questo.
Il viaggio in metrò è una chiave di ingresso per raccontare e dire altro: per mostrare come la musica di Monteverdi sia contemporanea, come quella storia di Orfeo che cerca di riportare in vita la sua Euridice sia storia di oggi, storia d’amore e morte e dell’impossibilità di far trionfare la buona giustizia sulla terra. Questo è infatti il significato etimologico di Euridice, ovvero colei che ha molto giudizio. Gli spettatori si trovano a vivere un viaggio, gli uni di fronte agli altri proprio come in metrò. A poca distanza da noi i protagonisti della vicenda agiscono la loro storia: la Musica vende cd, c’è chi offre a un euro bottigliette d’acqua o ombrellini, Plutone e Proserpina sono due militari che controllano i documenti, Orfeo è un ragazzotto riccioluto che scatta selfie con gli amici, innamorato della sua bella Euridice. Qualcosa accade in questo contesto non teatrale: viene la voglia di chiacchierare, di guardare il cellulare come fanno i personaggi viaggiatori del convoglio, si rompe la distanza fra chi assiste e chi agisce. In realtà potremmo agire e agiamo tutti: anche accettare di acquistare il cd, piuttosto che di dare l’offerta al sordomuto che ci porge un biglietto con scritto: ‘Alcun non sia che disperato in preda si doni al duol’.
In tutto questo scatta la ‘verità’ del gesto e del canto, ciò che cantano o meglio recitano e cantano Orfeo ed Euridice è una storia d’amore, la loro prossimità ci commuove, vivono di una quotidianità dell’atto e del dire che rende la lingua e la musica monteverdiane scottanti, parole di oggi, ma soprattutto ciò che va in scena è l’amor perduto, è l’addio anzitempo di una gioventù che non si compie e che la parola poetica vorrebbe resuscitare contro le leggi di natura. In realtà la parola poetica ridà vita, fa, crea e così ci si ritrova a commuoversi per quell’addio prematuro e può capitare che la signora al tuo fianco, esclami: «No!», non appena Orfeo si volta per vedere gli occhi della sua Euridice, perdendola così che sempre.
Orfeo in metrò è questo: non è solo l’insolito e coinvolgente allestimento contemporaneo della favola monteverdiana, ma è la dimostrazione emotiva e reale che quel mito e quella musica sono nostri contemporanei e ci possono commuovere fino alle lacrime. E tutto ciò è possibile grazie a un giovanissimo e intenso cast di cantanti e attori: Antonio Sapio, Veronica Villa, Arianna Stornello, Lorenzo Tosi, Michele Gaddi, Danilo Pastore, Stefano Maffioletti, Marco Tomasoni, Martha Rook, Piero Facci che hanno saputo mettersi in gioco emotivamente e trasmettere questa emotività anche a noi viaggiatori con loro, sostenuti dall’Orchestra barocca della civica scuola di musica Claudio Abbado. Insomma in miglior modo non poteva aprirsi il Festival Claudio Monteverdi.
Un devastante Orfeo nel Metrò al Ponchielli di Cremona, di Claudio Gagliardini / blog personale / 4 maggio 2019
Il talento è quella cosa, rara e preziosa, che consente ai pochissimi che ne sono dotati davvero di accedere a risorse di cui i “comuni mortali” non sono nemmeno a conoscenza.
Il talento è il colpo di tacco dissennato che nessuno oserebbe davanti al più grande dei portieri e che smarca un compagno per il gol che ti fa alzare una coppa.
Il talento è la metafora ardita che rende un qualsiasi banale pezzo di cronaca un mantra per intere generazioni, facendoti capire davvero qualcosa.
Il talento è l’incrocio magico di due pennellate in cui nessuno è disposto a vedere solamente una X, a parte i pochi che non hanno mai visto altro che una schedina del Totocalcio.
Il talento, nel caso di Luigi De Angelis (regista) ed Hernán Schvartzman (direttore) e del loro “Orfeo nel metrò”, è prendere per mano il pubblico e farne parte attiva di una grande opera del 1600, facendone qualcosa di completamente nuovo e sorprendente.
Qualcosa che va oltre la musica, oltre la scena, oltre il dramma dei due protagonisti e oltre il tempo: i millenni di Orfeo e i secoli di Monteverdi e della sua poderosa “trivella per l’anima”, che in questo adattamento più che mai è capace di estrarre preziosi effluvi anche dai toraci più difficili da perforare.
Inutile cercare di raccontare ciò che deve necessariamente essere vissuto, per poter essere apprezzato, ma questo piccolo capolavoro messo in scena sul palco del Teatro Ponchielli di Cremona, primo appuntamento del Monteverdi Festival 2019, lascia un segno che è un vero e proprio solco.
Una sferzata di aratro come quella di Romolo sul suolo della futura città di Roma, che traccia il confine tra il déjà vu e l’inesplorato, tra la sfacciata e travolgente potenza della gioventù e il tanfo di morte di chi non osa o non sa cambiare, contaminare, ridefinire.
L’Orfeo di De Angelis e Schvartzman va anni luce oltre l’onirica favola pastorale musicata da Monteverdi nel 1607, anno della sua prima rappresentazione al Palazzo Ducale di Mantova. In questa produzione quel 1607 diventa il numero del treno su cui tutti insieme, pubblico, attori, musicisti, percorrono il viaggio nell’anima di Orfeo, sciamano e incantatore che mette in luce (e al tempo stesso in ombra) l’intera gamma delle sfumature dell’animo umano, tragicamente perdente di fronte alle forze superiori della natura e dell’eternità.
Ma anche gloriosamente vittorioso nella sua straziante umanità, fatta di esuberanza giovanile, di sfacciataggine, di sconfinata autostima, che porta Orfeo a tentare l’impresa di andarsi a riprendere la sua amata Euridice nell’Ade, armato soltanto della sua cetra e del suo talento di incantatore. E ovviamente fatta di dolore, di sofferenza, della fatica di vivere, benché da semideo, la giornata più incredibile che si possa immaginare.
Questo Orfeo è un tuffo in un oceano incontaminato, che toglie il fiato e ridona la vita vera. Poco importa quanto siano bravi i ragazzi dell’Orchestra Barocca della Civica Scuola di Musica “Claudio Abbado”, i giovanissimi protagonisti in scena e dietro gli strumenti antichi, tra i quali mi sia consentito un cenno alla meravigliosa soprano Arianna Stornello (su-per-la-ti-va e generosissima) e ancor meno quanto siano incredibili e affascinanti le scene (decorate dagli studenti dell’Istituto di Istruzione Superiore “Antonio Stradivari” di Cremona), in cui c’è ampio uso di tecnologia moderna, che sposta Euridice dal regno dei morti a quello dei selfie.
Quello che importa, in questa produzione, è l’incredibile esperienza che De Angelis, Schvartzman e tutto il loro staff (tanta gente e tanta roba) sono capaci di far vivere ad un pubblico che è parte in causa per tutta la durata dell’opera.
A nome di quel pubblico altro non posso dire a tutti GRAZIE per questa boccata d’ossigeno e per questo uragano di coinvolgente gioventù. La meglio gioventù, come direbbe qualcuno.
Orfeo, agli inferi in metrò, di Davide Cornacchione / Operateatro / 2 maggio 2019
È uno spazio decisamente inusuale quello ricreato per la rappresentazione di Orfeo nel metrò, spettacolo inaugurale del Monteverdi Festival 2019 a Cremona. Interpreti e pubblico vengono infatti posizionati sul palcoscenico del Teatro Ponchielli, in una location che rievoca l’interno della metropolitana e che, per dimensioni, probabilmente non differisce molto da quel salone del Palazzo Ducale di Mantova che nel 1607 -come viene peraltro rievocato su alcuni schermi- vide il debutto nella prima opera di Claudio Monteverdi.
Questa nuova edizione ha il pregio di riportare il primo dei capolavori del musicista di Cremona alla sua dimensione cameristica, creando un rapporto tra artisti e pubblico per molti versi simile a quello della prima assoluta.
Sul palcoscenico del teatro Ponchielli lo spazio viene delimitato da due pannelli che rappresentano le pareti di un vagone ferroviario, decorate dagli studenti del liceo artistico Stradivari, di fronte alle quali si posizionano gli spettatori. L’orchestra occupa la parte rivolta verso il fondale mentre i cantanti si muovono nel mezzo, interagendo anche con gli spettatori. Il viaggio agli inferi di Orfeo diventa un viaggio in metropolitana, anche questo quindi nelle profondità della terra ma rielaborato in chiave contemporanea, attualizzandone il messaggio.
L’idea di base viene sviluppata molto bene nel progetto di Luigi De Angelis, che firma regia scene e luci, mentre i costumi sono di Chiara Lagani: Orfeo è un musicista rock che non disdegna di esibirsi sui vagoni della metropolitana, la Musica una venditrice di compact disc, Caronte un vigilante della sala controllo, Plutone e Proserpina due militari. Lo spettacolo si dipana con grande coerenza e ricchezza di idee: molto suggestivo ad esempio il momento in cui ad Orfeo si spalanca la porta dell’Ade che altro non è che la platea del teatro stesso, svelata dall’aprirsi del sipario. Nel complesso quindi uno spettacolo di grande efficacia che rielabora con intelligenza il mito trasferendolo nella quotidianità.
La vitalità e la proposta si respira anche nella giovane età dei musicisti coinvolti. Hernán Schvartzman dirige l’Orchestra barocca della Civica Scuola di Musica Claudio abbado, che, nonostante necessiti di una maggiore messa fuoco nella sezione dei fiati, si disimpegna egregiamente sia nei passaggi più dinamici che in quelli più lirici. La compagnia di canto è dominata da Arianna Stornello, contralto dalla voce solida e ben timbrata, impegnata nel triplice ruolo di Musica, Messaggera e Proserpina, e da Lorenzo Tosi, Caronte e Plutone dal timbro e scuro e pastoso e dalla tecnica eccellente. Antonio Sapio è un Orfeo dal timbro chiaro, disinvolto nel fraseggio ma non sempre impeccabile nelle fioriture. Buona la prova del coro dei pastori su cui spicca Michele Gaddi, impegnato anche nel ruolo di Apollo, cui si affiancano Danilo Pastore, Stefano Maffioletti e Marco Tomasoni. Qualche perplessità viene dal versante femminile: Veronica Villa, interprete di Euridice, Eco e Speranza, non sempre sembra avere il giusto peso vocale, mentre Martha Rook è una Ninfa dall’intonazione spesso periclitante. Al termine applausi calorosissimi da parte di un pubblico coinvolto e partecipe.
A Cremona Orfeo è un millennial, di Maddalena Schito / Giornale della Musica / 2 maggio 2019
Un cast di giovani artisti, selezionato tra gli ottanta studenti ed ex studenti di Canto rinascimentale e barocco dei Conservatori italiani, che hanno preso parte alle selezioni per il progetto. Uno spettacolo contemporaneo, dall’alto valore formativo, che vede inoltre la partecipazione degli studenti del Liceo Artistico Stradivari di Cremona, nella realizzazione della scenografia.
Luigi De Angelis, giovane regista italiano-belga, racconta il suo nuovo allestimento.
Come nasce l’idea dell’Orfeo metropolitano?
«Nasce da una mia esperienza vissuta anni fa in uno dei miei viaggi in Argentina. Mi aveva molto colpito la dimensione popolare dei treni. Come uno dei moltissimi lavoratori, che ogni giorno partivano dalle periferie per raggiungere il centro di Buenos Aires, ho viaggiato su quei vagoni su cui si avvicendano venditori ambulanti. È come se il vagone si trasformasse in un palcoscenico per vendere la merce ma in un modo creativo e sempre teatrale. L’arte del canto piuttosto che della recitazione o del racconto, come mezzo per sedurre il viaggiatore-compratore. Allora perché non immaginare il viaggio di Orfeo agli inferi nel vagone di una metro, dove gli stessi spettatori sono viaggiatori insieme con Orfeo?».
Orfeo come un millennial?
«Assolutamente. Orfeo è una storia del quotidiano. In un mondo sempre più robotico che tende a congelare le emozioni, il suo è un viaggio iniziatico, nel profondo emozionale. Attraversa le fasi dell’innamoramento, della perdita, della reazione e rielaborazione del dolore».
Parliamo della scenografia…
«Grazie alle maestranze del Ponchielli abbiamo ricostruito un vagone metropolitano di dimensioni reali, sul palcoscenico. Gli studenti del Liceo Artistico di Cremona, ispirandosi alla metro di New York, hanno poi realizzato i graffiti per il vagone. Sui finestrini verrà proiettata la realtà del viaggio, del fuori. Lunghi piano-sequenza realizzati dal video maker Andrea Argentieri».
Uno spettacolo per un piccolo numero di spettatori?
«Centoventi/centocinquanta al massimo».
Come farci stare tutti?
«Sono previste quattro repliche e una generale aperta al pubblico».
E gli strumentisti?
«Saranno in fondo al vagone. Loro di fatto sono la band di Orfeo. Anche in questo caso c’è un riferimento a quell’Argentina di cui dicevo. Mi è capitato, un giorno, di viaggiare in un vagone pieno di musicisti. Per tutto il viaggio è stato un’ora e mezza di musica! Chi suonava, chi ballava…».
Nel tuo allestimento il pubblico è un tutt’uno con la scenografia…
«Lo spettatore si troverà a pochi centimetri dai cantanti. Sarà come essere al cinema dove i primi piani ci avvicinano le emozioni. Con i cantanti è stato fatto un grande lavoro sul dettaglio sentimentale, sulla precisione iperrealistica dello stare sulla scena. Abbiamo provato in un contesto reale, sui tram e in metropolitana di Milano. Il tram, in quanto mondo “supero”, la metro, la discesa agli inferi. Volevo che gli artisti cantassero e provassero le scene viaggiando tra la gente comune, ignara di ciò che avremo fatto. È stata un’esperienza molto forte. Siamo arrivati fino a Lorenteggio, fino al Cimitero monumentale e poi abbiamo preso la Lilla – la linea 5 della metro – fino a San Siro. Molti viaggiatori si sono commossi. Altri filmavano… Un impatto crudo, così, senza protezioni né filtro di alcun tipo. Emozionante! Ecco, il valore aggiunto di questa esperienza sta nell’aver creato una verità empatica. Mi auguro che sorprenda il pubblico come ha sorpreso me!».