Lohengrin
Richard Wagner
Teatro Comunale Bologna
nuovo allestimento
Regia, scene, luci e video Luigi De Angelis | drammaturgia e costumi Chiara Lagani | Direzione musicale Ascher Fisch| Maestro del Coro Gea Garatti | Aiuto regia Andrea Argentieri | Assistente alla regia Gabriele Galleggiante Crisafulli | Preparazione musicale alla regia Greta Benini | Assistente alle scene Giuliana Rienzi | Assistente alle scene e luci Mirto Baliani | Assistente ai costumi Sofia Vannini | Maestro del Coro di voci bianche Alhambra Superchi | Personaggi e interpreti Enrico l’Uccellatore Albert Dohmen | Lohengrin Vincent Wolfsteiner, Daniel Kirch |Elsa di Brabante Martina Welschenbach, Anna-Louise Cole | Telramund Lucio Gall, Ólafur Sigurdarson | Ortrud Ricarda Merbeth, Anna Maria Chiuri | Araldo Lukas Zeman | Primo cavaliere Manuel Pietrattelli | Secondo cavaliere Pietro Picone | Terzo cavaliere Simon Schnorr | Quarto cavaliere Victor Shevchenko | Primo paggio Francesca Micarelli | Secondo paggio Maria Cristina Bellantuono | Terzo paggio Eleonora Filipponi |Quarto paggio Alena Sautier | Orchestra, Coro, Coro di Voci Bianche e Tecnici del Teatro Comunale di Bologna
Note di regia in forma di appunti preliminari
di Luigi De Angelis
Martedì 27 giugno 1882
Richard ha avuto una notte agitata, si è alzato quattro volte,
ha sognato di comparire davanti ad un tribunale
e le conseguenze erano per lui spiacevoli!
Stamane si compiace nell’ascoltare i due pavoni,
quello bianco e quello variopinto, appollaiati sul tetto del pollaio.
Cosima Wagner, I sogni di Richard
Eccomi dunque di nuovo sul vulcanico suolo di Boemia, singolare paese e per me sempre così interessante. Un’estate meravigliosa, quasi troppo calda, alimentava la mia serenità interiore. M’ero proposto di far la vita più comoda di questo mondo, quale esigeva la mia cura di per sé assai eccitante. A questo scopo m’ero scelto accuratamente le mie letture: le poesie di Wolfram von Escenbach e, in relazione con questo, l’epopea anonima del Lohengrin.
Col mio libro sotto il braccio mi addentravo nei boschi, poi mi sdraiavo accanto a un ruscello per intrattenermi con Titurel e Parsifal… Ma tosto si agitò in me con tanta forza il desiderio di dare una forma mia a ciò che lì contemplavo, che facevo fatica a combattere il mio impulso e ad osservare la prescritta astensione da ogni lavoro eccitante per la durata della cura. Anzi, proprio da questo stato di cose crebbe in me un’angosciosa agitazione: Lohengrin mi stava improvvisamente davanti, tutto armato, e tutta la materia prendeva forma drammatica con la più grande esattezza di particolari. Fra tutti i motivi di questo mito di cui ero venuto a conoscenza era soprattutto quello così caratteristico del cigno che esercitava un fascino straordinario sulla mia fantasia.
Richard Wagner, La mia vita
Il diagramma *gr [del nome Lohengrin] ha il suono delle spade d’argento ma anche dei ruggiti di belve nascoste nella foresta. Le due consonanti, “muta cum liquida”, hanno una probabile attinenza con un aggettivo tedesco, “grimm”, il cui significato è “feroce, crudele, spietato”, o, con attenuazione semantica, “combattivo, ardito”, e anche con “Gram”, ossia “pena, desolazione”.
In nome di questa dualità semantica, che poi è analoga a quella dell’arma con cui Longino trafisse Cristo, della lancia la cui punta ferisce ma alla fine risana (o della lancia di Achille),
avvertiamo il suono tagliente e lucente nel nome di una divinità celtica, Grannus,
connesso con la buona salute, le cure naturali e termali…
Quirino Principe, Wagner e noi
Sembra dunque che Lohengrin, l’eroe che giunge dalle acque della Schelda, sia già dal nome un eroe portatore di ipotetica salvezza, e la sua discesa nel tempo storico degli umani, da quello verticale del mito, presupponga una funzione medicinale sulla comunità in cui giunge come visitatore e straniero. Certo non è una coincidenza che Richard Wagner, che soffriva di malattia nervosa, fosse in cura in Boemia a Marienbad alle terme quando ha avuto le prime illuminazioni poetiche e creative del Lohengrin… E ne scappò, nonostante il divieto del medico di mettersi al lavoro, perché la creazione stessa del Lohengrin diventava la sua nuova cura.
Lohengrin si apre con un preludio che fa scivolare lo spettatore immediatamente in una dimensione onirica, connessa con un altrove magico. È un’opera che ossessivamente media e oscilla tra un primo piano storico e un secondo piano mitologico, come a indicarci che solo la musica ha il potere taumaturgico di riconnettere le due dimensioni e farci assaporare la dimensione genuina del mito.
Lohengrin è forse l’artista che richiede allo spettatore un patto di cieca fiducia, un amore incondizionato e puro, uno sguardo infantile, puerile, non corrotto da un tempo storico ormai orfano di ogni autentica ritualità. Ma l’arte può davvero incidere sulla realtà? Può mutarla? Salvarla? È taumaturgica?
Il tema del giudizio è ossessivo in quest’opera. Il primo atto si apre con un vero e proprio processo, che ricalca la ritualità dell’antico processo germanico. Il processo è sempre un labirinto, perché nello spazio del labirinto si conosce l’entrata ma non si conosce mai l’uscita. Durante la convocazione del processo il tempo degli umani si sospende, si indossano le toghe, che proteggono i giudicanti dall’imparzialità dell’emozione e ne indicano la funzione simbolica.
Nell’antico processo germanico, una volta istituito il rituale del processo, convocata l’assemblea del popolo, il re/giudice aveva una funzione più notarile che giudicante, perché l’esito del processo era deciso da un duello (Gotteskamps, ordalia), e il giudizio finale coincideva col risultato del duello, perché non era deciso da mano umana, ma divina. Non esisteva per questo la possibilità di un processo in contumacia, con l’assenza dell’accusato dal rituale del processo. Se l’accusato era una donna, si chiedeva se tra gli astanti qualcuno volesse prendere la sua difesa nel duello. Tutto si risolveva con l’esito concreto e fisico del duello e la possibile morte di uno dei due contendenti.
Oggi il processo canonico moderno, che pure mantiene nelle sue manifestazioni e regole una ritualità di origine antica, è superato, corrotto da una logica del giudizio quasi istantanea, tossica, che irrompe nella comunità fuori da un recinto deputato al tempo del processo, tramite la gogna virtuale, il chiacchericcio condominiale collettivo dell’infomania dei social media.
Elsa, accusata di fratricidio, viene convocata nel recinto sacro del processo: è il nostro medium, la nostra soggettiva verso un mondo altro, mitico, antico. La sua fragilità è la nostra fragilità. Elsa è al limite dei due mondi, tra la veglia e il sonno, tra la realtà e il sogno. Tra il piano storico e il piano mitologico. Possiamo ancora sognare tramite i suoi occhi?
Lo straniero che lei invoca dalla sua condizione quasi di sonnambula, e che giunge a difenderla, è portatore di salvezza ma anche di caos. Tramite il suo arrivo tutto si trasfigura, il potere costituito vacilla. Il suo arrivo è una domanda, richiede un ricollocamento da parte di tutti nella comunità.
L’arrivo miracoloso di Lohengrin è una specie di allucinazione collettiva, comunitaria, che irrompe nel tempo sacro del giudizio mediante l’epifania dell’animale, il cigno, figura mitologica metamorfica, ambigua, seducente, che simboleggia la purezza, la bellezza delle arti e la morte, perché si dice che prima di morire emetta un canto sublime.
La logica della dualità in quest’opera si ripercuote in ogni personaggio, che Wagner scolpisce musicalmente con una precisione emotiva impressionante, mediante la tessitura subliminale dei leitmotive. Ortrud è la controparte di Lohengrin, la sua antagonista, ma forse un suo possibile riflesso, un altro modo di vedere le cose, senza che venga espresso un giudizio da Wagner. Senza una morale. La sua tonalità è il Fa diesis minore (la magia nera), relativa minore del La maggiore, tonalità di Lohengrin (celeste, stellare, con tre diesis…), come se una fosse contenuta nell’altro, anche se espressioni di prospettive molto differenti.
La parabola di Lohengrin non può avere luogo senza il disegno serpentino di Ortrud, che riesce a insinuare il dubbio in Elsa. Ortrud ci porta nell’umano, ci porta nel dubbio e mostra il fallimento dell’artista (simboleggiato da Lohengrin) di fronte all’orizzonte nero del tempo storico in cui è immerso.
I leitmotive sono usati da Wagner come veri e propri personaggi melodici che si insinuano sotto alla pelle e che prefigurano, sottolineano, ci conducono segretamente, volontariamente nei meandri del labirinto. È un’architettura subliminale e sentimentale precisissima. Dal loro ascolto scaturiscono immagini naturali, immediate, ad esempio il tema di Ortrud è serpentino, sinusoidale. Il tema del divieto, o del giuramento, è invece portatore ogni volta di note cariche di ansietà, come un conto alla rovescia inesorabile. Il tema del Graal, stellare, scintillante, tutto giocato sui suoni armonici dei violini rimanda al luccichio, diafano, luminescente e argenteo delle acque lambite dai raggi di sole…
Lohengrin è stata la prima opera di Wagner mai rappresentata in Italia e ha debuttato a Bologna, al teatro Comunale circa 150 anni fa. Addirittura Wagner è stato insignito cittadino onorario della città e ha lasciato alal città di Bologna una lettera per l’occasione. Quell’evento ha cambiato per sempre la storia della musica Italiana. Questo sguardo di Richard Wagner, questo suo arrivo a Bologna, in questo teatro, ad assistere all’epifania del suo sogno in musica, oggi, è più che mai emozione viva e potente. Partiamo da qui, dal suo sguardo sognante che ci conduce nel labirinto del Lohengrin…
Debutto: Teatro Comunale, Bologna, domenica 13 novembre 2022 ore 18.00, martedì 15 novembre 2022 ore 18, mercoledì 16 novembre 2022 ore 18, giovedì 17 novembre 2022 ore 18, sabato 19 novembre 2022 ore 18.00, domenica 20 novembre ore 16.00