Il Barbiere di Siviglia


 

Gioacchino Rossini

melodramma buffo in due atti
libretto di Cesare Sterbini dall’omonima commedia di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais
musica di Gioachino Rossini
prima rappresentazione Roma Teatro Argentina, 20 febbraio 1816
(Edizione Casa Ricordi, Milano)

nuovo allestimento Teatro Sociale di Rovigo in collaborazione con Fanny & Alexander
in coproduzione con Teatro Alighieri Ravenna, Teatro Verdi di Pisa, Teatro G.B. Pergolesi di Jesi, Teatro del Giglio di Lucca

Regia, scene, luci Luigi De Angelis | Costumi Chiara Lagani | Direzione musicale Giulio Cilona | Maestro del Coro Flavia Bernardi | Collaborazione alla regia Andrea Argentieri | Assistente alla regia Gabriele Galleggiante Crisafulli | Assistente ai costumi Lucia Sammarco | Personaggi e interpreti Rosina Mara Gaudenzi | Figaro Alessandro Luongo | Conte di Almaviva Matteo Roma | Bartolo Omar Montanari | Don Basilio Adolfo Corrado | Berta Giovanna Donadini | Fiorello Francesco Toso | Abitanti della città Giada Cerroni, Sofia Clemente, Maddalena Dal Maso, Francesco Dall’Occo, Andrea Gennaro, Enrico Zelante | Orchestra Regionale Filarmonica Veneta | Coro Lirico Veneto | Management Ifat Nesher Creative Artists Management, Marco Molduzzi | Organizzazione Maria Donnoli


Note di regia
di Luigi De Angelis

Per volere di mia madre, sono cresciuto senza televisione. Per anni il corrispettivo dell’esperienza della televisione è stato per me, oltre alla lettura di romanzi, l’ascolto di vinili e cassette di opere liriche. Una delle mie preferite, che ho ascoltato fino allo sfinimento nel periodo delle scuole elementari, erano un paio di cassette del Barbiere di Siviglia che mi avevano regalato per un compleanno.

Per questo motivo poter mettere in scena quest’opera è una grande emozione e allo stesso tempo significa essere proiettato da questa musica in una dimensione familiare, domestica, connessa alla quotidianità.

Una delle cose che mi ha sempre colpito del Barbiere di Siviglia di Rossini è il conflitto generazionale tra giovani e adulti, tra mondo antico e mondo moderno, che è ben rappresentata nella vicenda e sottolineata anche dalle scelte del compositore, quando ne delinea il carattere scegliendo per i vari personaggi appartenenti a uno o all’altro mondo forme musicali più vecchie o più contemporanee, non senza ironia.

Quando mi è stato chiesto di mettere in scena Il Barbiere di Siviglia mi è subito venuto in mente un film a cui sono molto affezionato, Play Time di Jacques Tati, il grande comico, mimo e regista francese. Jacques Tati era profondamente ferito dalle trasformazioni in atto nella società del suo tempo e in particolare del passaggio da una Francia rurale, ancora espressione di un’umanità genuina, a un mondo standardizzato, stereotipato, dove vigeva la logica della reiterazione e consumo dell’identico. Il suo film Play Time è un vero affresco divertito, leggero e allo stesso tempo feroce, delle idiosincrasie, degli incagli e degli inciampi del mondo moderno, con tutti i suoi tic e le sue nevrosi.

Questa rappresentazione cinematografica del nostro mondo mi è sembrata molto simile a quella del  Barbiere di Siviglia di Rossini, dove i personaggi non hanno un vero e proprio sviluppo psicologico, ma sono piuttosto dei “tipi”, come se quest’opera fosse un carnevale delle maschere e dei caratteri di un mondo che tanto ci assomiglia.

Per questo ho immaginato di ambientare il Barbiere all’interno e all’esterno di un’unità abitativa contemporanea, alla Le Corbusier, dove vita privata e pubblica si sovrappongono in un’architettura standardizzata dalle grandi vetrate, che permettono alla comunità degli sguardi di potere entrare nel privato e confondere i piani di una dimensione sociale con una dimensione più intima.

Si sa, il meccanismo del riso non è mai individuale, ma sempre si ride in compagnia, in un salotto davanti alla tv, oppure a teatro, in uno spazio comunitario. Si ride degli errori altrui, delle rotture delle convenzioni, dell’incongruo, quando ne siamo osservatori esterni e per rispecchiamento, perché se qualcuno inciampa, un pochino inciampa anche una parte di noi.

In questa unità abitativa che si sviluppa su due piani con quattro ambienti speculari, si svolgeranno le vicende del Barbiere e davanti ad essa prenderà vita la città con i suoi personaggi e caratteri, possibili maschere del nostro tempo.

Il conflitto generazionale prenderà forma non solo dalla vicenda del Barbiere, ma anche attorno ad essa con piccole epifanie e presenze nella strada o in casa che possano essere di volta in volta riverberi della vicenda stessa, tra spazio sociale e spazio privato, richiedendo allo spettatore di annodare con leggerezza ulteriori fili invisibili. Se in Play Time di Jacques Tati sono le piccole manifestazioni del mondo rurale più antico a riportare lo sguardo sulla poesia dell’umano, qui in questa dimensione contemporanea della vicenda sarà la dimensione adolescenziale, con la sua poesia disarmante, a mostrare che un’altra prospettiva e un’altra visione forse è possibile al di fuori della macchina tritatutto del nostro tempo, al di fuori delle convenzioni di un mondo che perpetra il consumo dell’identico, a discapito delle espressioni genuine dei sentimenti e delle emozioni.

Rossini con la sua musica e la genialità delle soluzioni del libretto di Sterbini porta uno sguardo divertito, leggero ma allo stesso tempo feroce sui tic, sugli inciampi, sulle idiosincrasie e le nevrosi del nostro quotidiano, in una giostra vorticosa, destinata all’horror vacui, ma che forse ci mette a nudo di fronte a noi stessi.

 

ph. Valentina Zanaga

ph. Valentina Zanaga

ph. Diego Bianchi

ph. Diego Bianchi

ph. Diego Bianchi

ph. Diego Bianchi

ph. Diego Bianchi

ph. Diego Bianchi

ph. Diego Bianchi

ph. Diego Bianchi

ph. Diego Bianchi

ph. Diego Bianchi

ph. Diego Bianchi

TOUR

Debutto: Teatro Sociale, Rovigo, venerdì 31 marzo 2023 ore 20.30, domenica 2 aprile 2023 ore 16
Teatro Alighieri, Ravenna, venerdì 21 aprile 2023 ore 2o.30, domenica 23 aprile 2023 ore 15.30
Teatro Verdi, Pisa, venerdì 27 ottobre 2023 ore 20.30, domenica 29 ottobre 2023 ore 15.30
Teatro Pergolesi, Jesi (Ancona), giovedì 2 novembre 2023 ore 17, venerdì 3 novembre 2023 ore 20.30 e domenica 5 novembre 2023 ore 16
Teatro del Giglio, Lucca, venerdì 12 gennaio 2024 ore 20.30 e domenica 14 gennaio 2024 ore 16

RASSEGNA STAMPA 

GILBERTO MION, TEATRO.IT
VALENTINA ANZANI, GIORNALE DELLA MUSICA
CORRIERE ROMAGNA
PIERACHILLE DOLFINI
DANIELA GOLDONI, OPERACLICK
CESARE GALLA, DOPPIOZERO
FILIPPO ANTICHI, CONNESSI ALL’OPERA
LUCA FIALDINI, L’APE MUSICALE


 

Un effervescente Barbiere di Siviglia sigla la stagione lirica del Teatro Sociale di Rovigo, di Gilberto Mion | Teatro.it, 5 aprile 2023 

Quante volte abbiamo assistito a Il Barbiere di Siviglia di Rossini? Varie decine di volte, il conto si perde. Però raramente, ci tocca dirlo, è capitato di assistere ad una versione così briosa, fresca e incantevole come quella proposta dal Teatro Sociale di Rovigo a conclusione del suo cartellone lirico. Merito che va equamente suddiviso fra tutte le varie componenti d’uno spettacolo che scorre velocissimo e divertente.

La direzione, prima di tutto
La prima componente, assolutamente fondamentale, è la scattante direzione musicale, tutta all’insegna di una visione effervescente del capolavoro rossiniano, che porta in Italia un talento emergente, quello di Giulio Cilona. Kapellmeister all’Opera di Hannover, ed a breve alla Deutsche Oper di Berlino.

Presiedendo anche al fortepiano – è anche un valido concertista – la bacchetta qualche volta in bocca, il giovane maestro belga/americano ci porge una concertazione di prodigiosa teatralità: nitida, luminosa e arguta, ricca di belle annotazioni strumentali, molto attenta al lavoro dei cantanti. L’Orchestra, che lo asseconda abbastanza bene, è la Filarmonia Veneta.

Drammaturgia e regia animate, piene di verve
Per seconda, ecco la regia animatissima di Luigi De Angelis (leggi Fanny & Alexander), che si è preso carico pure di scene e luci – gli abiti moderni li ha lasciati disegnare a Chiara Lagani – ideando una scenografia unica fatta di quattro moderni vani: in basso, la barberia di Figaro e il salotto di don Bartolo; in alto, la sala prove di un complesso pop e la cameretta di Rosina.

Davanti, scorre una trafficata strada dove transitano gli abitanti di un’odierna città: frotte di studenti ed anziani a passeggio, la sciura in ghingheri e il fanatico jogger, il netturbino e la homeless, e via di questo passo. Sono tutti teen-agers le comparse – ed adolescenziale è la figura di Rosina – messe a creare un flusso di piccole controscene, movimentate e divertenti. Mai, però, fuori luogo o soverchianti.

Dietro l’angolo, il Tati di “Play Time”
Insomma, avendo in mente un immortale film cult quale Play Time di Jacques Tati, con la sua melanconica satira d’un standardizzato ed inesorabile progresso, che poco alla volta spazza via un poetico passato, il talentuoso drammaturgo ravennate imposta una visione molto personale del capolavoro rossiniano, imperniata sui conflitti generazionali; e centrando i caratteri dei personaggi, e rivolgendo per noi  «uno sguardo divertito, leggero e feroce al tempo stesso, sui tic, le idiosincrasie e le nevrosi del nostro quotidiano», come leggiamo nelle note di regia. E poi, neanche a farlo apposta, la compagnia – tutta felicemente affiatata – brilla per metà di talenti che si stanno pian piano ritagliando uno spazio nell’agone lirico.

Metà reclute, metà veterani
Neppur trent’anni hanno il tenore Matteo Roma – un Almaviva garbato e decisamente interessante, ben marcato e ben fraseggiato, con facili acuti a fior di labbro – ed il basso Adolfo Corrado: un Basilio assai graffiante in scena, ma dall’emissione fin troppo generosa, da affinare e calibrare meglio. Ancor meno ne mostra il mezzosoprano Mara Gaudenzi, una Rosina ancor acerba nella voce – le agilità ben tornite, ma un po’ geometriche; il timbro, di là dalla piena maturazione – ma già persuasiva nello stile, nel canto lieve e nel volitivo carattere.

A questo punto un relativamente giovane Alessandro LuongoFigaro pieno di brio, irruente, pastoso, tornito e sonoro la fa quasi da veterano. Per non parlare di un consolidato padrone delle scene qual’è Omar Montanari, che ci ammannisce un Bartolo gradevolissimo, dosato ed elegante, portato da vero buffo parlante; e di Giovanna Donadini, che della pruriginosa Berta ha fatto un perno della sua lunga carriera. Qui, corteggiata con crescente successo dal Fiorello di Francesco Toso.

Maestro del Coro Lirico Veneto – fatto cantare fuori scena – è Flavia Bernardi.

In definitiva, questo Barbiere preso nel suo insieme uno dei migliori allestimenti da noi incontrati in questa stagione 2022/23. Lo ha compreso anche il pubblico del Teatro Sociale – due recite a teatro pieno, altre due a breve all’Alighieri di Ravenna che l’ha coprodotto – che si è mostrato pienamente soddisfatto, tributando alla fine lunghi applausi a tutti. Arrivederci a Rovigo ad ottobre, pare con Tosca.

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Se Rosina è senza smartphone, di Valentina Anzani | Giornale della Musica, 7 aprile 2023 

Il nuovo allestimento di Fanny&Alexander debutta con successo al Teatro Sociale di Rovigo.

Il 31 marzo e il 1° aprile si sono tenute le due recite del nuovissimo e sfavillante Barbiere di Siviglia firmato Fanny&Alexander al Teatro Sociale di Rovigo. Lo spettacolo, sviluppato nel segno di una lettura dinamica e legata ai temi del contemporaneo, è molto piaciuto al pubblico in sala. È risultata equilibrata anche la scelta di scritturare cantanti giovani e affiancarli ad interpreti solidi sul panorama internazionale, e dunque piacciono la Rosina di Mara Gaudenzi e il Conte d’Almaviva di Matteo Roma, entrambi appropriati nel delineare vocalmente e scenicamente i personaggi, anche con la distintiva caratterizzazione impressa dalla regia. Il Bartolo di Omar Montanari è il mattatore della serata, con la comicità travolgente che gli è connaturata, in questo caso condita da un pizzico di ipocondria post pandemica, e ben si sposa con il mercuriale Figaro di Alessandro Luongo. Anche Giovanna Donadini nei panni di Berta è ben a fuoco, soprattutto nelle interazioni con il Fiorello di Francesco Toso. Adolfo Corrado è invece un Don Basilio in versione gangster.

Il nuovo allestimento è a cura del duo Fanny&Alexander, ovvero Luigi De Angelis alla regia, scene e luci e Chiara Lagani ai costumi, mai scontati nelle loro scelte. E chi altro è Rosina se non una teenager a cui han tolto la tecnologia? Si ride e si scherza, ma è straziante vederla isolata e obbligata alla solitudine quando dall’altra parte del muro ci sono i coetanei in compagnia che si divertono, ed emerge quanto la sua condizione sia tragica e restrittiva: quasi una Blair di Gossip girl, incastrata in trucco ed abiti seriosi, è cresciuta troppo presto per i suoi anni, oppressa in una casa da cui può sentire le feste altrui e da cui vede la vita degli altri che scorre, essendone però esclusa.

Fuori dalla palazzina in stile Le Corbusier in cui Rosina vive, passa un’umanità variegata – dal rider, alla suora, alla madre con carrozzina, allo spazzino – e basta un gesto o un dettaglio a ricordare temi legati all’ecologia, all’ingiustizia sociale, alla rappresentazione nell’arte delle disabilità (e abbiamo dunque una donna che butta cartacce a terra, episodi di violenza gratuita sui più deboli, una persona cieca). Una nota di merito serve per sottolineare che tali interventi attoriali, che hanno dato risultati accurati e scenicamente efficaci, sono il prodotto dei laboratori di teatro per i ragazzi promossi dal teatro.

L’Orchestra era la Regionale Filarmonia Veneta diretta dal giovane ma deciso Giulio Cilona, che ha dato una lettura musicale improntata sul porgere della parola e la recitazione.

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La recensione: il “Barbiere di Siviglia” a Ravenna | Corriere Romagna, 22 aprile 2023

La “quarta parete” invita il pubblico a spiare la quotidianità di gesti e stranezze che abitano l’imponente palazzo-palcoscenico: il dentro e il fuori si incontrano lì, su quell’invisibile confine attraversato dallo sguardo di un’umanità di passaggio: ragazzi a passeggio, un clochard, un “umarèl” con tanto di giornale, una suora e un runner, una mamma con carrozzina e un’anziana con deambulatore, una maleducata che butta cartacce e uno spazzino imbranato che le raccoglie, un carabiniere. Persino un rider in bicicletta, venuto a consegnare la pizza a Figaro e Rosina…

Ecco: è il “Barbiere di Siviglia” di Rossini andato in scena venerdì scorso al teatro Alighieri di Ravenna, nella nuova produzione firmata Luigi De Angelis – con costumi e drammaturgia di Chiara Lagani, insomma, Fanny & Alexander. La più celebre delle opere rossiniane, quella comica per eccellenza, è terreno minato per i registi: le letture “tradizionali” cedono spesso a un polveroso macchiettismo; quelle “moderne” perdono talvolta di vista il senso della vicenda alla ricerca di arcani significati nascosti… De Angelis no: rimane saldamente ancorato al tessuto e al senso della commedia in scena conferendole però nuova veste e attualizzandola – non solo esteriormente, ché non basta un cellulare in mano a Rosina per parlare di noi, oggi. E soprattutto lo fa senza scivolare mai in quella banale trivialità che in opere come questa è sempre dietro l’angolo; al contrario. Qualcuno dirà che il meccanismo del voyerismo sulla scena o l’artificio del dentro/fuori e della parete aperta sulla strada non è una novità assoluta. Certo.

Ma a convincere è la levità dell’insieme, l’effetto straniante e poetico che scaturisce dalle sgangherate comparse; così come quello squarcio di profonda tristezza che si apre già con l’aria malinconica della governante Berta (“ah vecchiaia maledetta”) – per una volta non semplicemente sfoggio di interpretazione (esemplare quella di Giovanna Donadini, anche attrice consumata) ma approdo naturale di azioni e sensazioni fin lì suggerite – e culmina nel temporale che nei calci sferrati al povero barbone e nell’inquietudine che attraversa la scena svela la parte oscura di ognuno di noi. Per non dire delle gag dai tempi perfetti: talvolta esilaranti: dal tormentone dello spray igienizzante nella scena del falso maestro di musica alla seduta di Bartolo al Barber Shop di Figaro… Grazie anche a un cast dinamico, che sa ben tenere la scena: primo tra tutti il Figaro di Alessandro Luongo, disinvolto e brillante, voce duttile e intonazione sicura, come il Bartolo di Omar Montanari, anch’egli perfettamente aderente alla parte; eppoi, Matteo Roma/Conte d’Almaviva, voce agile e piacevole, così come Mara Gaudenzi/Rosina, elegante e puntuale. Della strepitosa Giovanna Donadini si è detto, ma convincente è anche il Basilio di Arturo Espinosa. Concertati con gusto e accuratezza, secondo tempi scattanti e incisivi, dal giovane Giulio Cilona, sul podio (e al fortepiano) dell’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta. Lungo e convinto l’applauso del pubblico. Oggi (domenica 23) la replica, alle 15,30.

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Ravenna, Figaro e Rosina nel loft dell’archistar | Pierachille Dolfini, 24 aprile 2023

Cilona sul podio e al fortepiano per il Barbiere di Rossini nella versione ironica e moderna di Fanny e Alexander Cast eccellente con Luongo, Roma, Gaudenzi e Montanari

«Amoore e fede eterna sii vegga in voi regnar… in voi regnar… in voi regnaaaaar…». Treno Ravenna-Bologna. Un assonnato sabato mattina di aprile. Quasi non te ne accorgi e sulle carrozze senza pendolari canticchi il rondò finale del Barbiere di Siviglia. Quello che ti mette di buon umore ogni volta che lo senti… Anche se sai benissimo che quella «fede» che il coro (tutto maschile… e dunque portatore di una sola visione di genere, direbbero i bravi dramaturg) auspica per Rosina e Almaviva sarà tutt’altro che «eterna»: perché ci sono in agguato Le nozze di Figaro (anche se quello che cronologicamente è il sequel del Barbiere, Mozart lo ha scritto trent’anni prima del 1816 della partitura di Rossini) con i tentativi del Conte di sedurre la cameriera Susanna, tentativi, però, smascherati da una nuova coscienza femminista.

Si diceva. Treno Ravenna-Bologna. Un assonnato sabato mattina di aprile. Quasi non te ne accorgi e canticchi il rondò finale perché il Barbiere di Siviglia con la sua musica che è un misto di contagiosa allegria e malinconica felicità ti resta addosso ogni volta che lo ascolti. Incroci lo sguardo del vicino di sedile. «Mi scusi…». Lui, però, sorride. «Era per caso all’Alighieri ieri sera?». Inconfondibile pronuncia spagnola che ti fa sussultare, corto circuito inaspettato con il melodramma di Rossini… «C’ero anch’io. Nel pomeriggio i mosaici mozzafiato delle basiliche, la sera Figaro a teatro. Oggi un giro alla Pinacoteca di Bologna e stasera sono già a Barcellona» ti rassicura il gentile compagno di viaggio. Che sa tutto di opera. Sa che «Kaufmann sta cantando Wagner a Napoli: dovevo sentirlo a Monte Carlo, ma ha cancellato». Sa che c’è una Lucia alla Scala dove a maggio sempre Kaufmann canterà Chénier. «Magari farò un salto». A Bologna, appena si aprono le porte del treno, si dilegua tra la folla. Ragazzi con lo zaino. Qualche metallaro nostalgico. Un rider con in spalla lo zaino per le consegne. Famiglie che partono per il ponte. Tanti stranieri nell’Italia multietnica e multiculturale.

Che è l’Italia (e non la Siviglia del libretto di Sterbini ispirato a Beaumarchais) dove Luigi De Angelis e Chiara Lagani ambientano il “loro” Barbiere rossiniano. Un asse veneto-romagnolo (ma anche tosco-marchigiano perché a coprodurre ci sono anche Pisa, Lucca e Jesi) per un nuovo allestimento dell’opera più famosa di sempre (insieme alla verdiana Traviata) perché anche se non sai nulla di lirica non dico un rondò finale – quello di «Amore e fede eterna…» – ma almeno un «Figaro qua, Figaro là…» una volta nella vita lo hai sicuramente canticchiato. Un asse veneto-romagnolo perché il Barbiere ravennate ha debuttato a fine marzo al Teatro Sociale di Rovigo, coprodotto con l’Alighieri (dove è andato in scena con un doppio tutto esaurito e un doppio successo il 21 e 23 aprile) in collaborazione con Fanny & Alexander, la compagnia di ricerca fondata nel 1992 proprio a Ravenna da Luigi De Angelis e Chiara Lagani.

Artisti di casa che firmano, con il loro stile inconfondibile, uno regia, scene e luci e l’altra drammaturgia e costumi di questo Barbiere contemporaneo. Che funziona benissimo, specchio dei tic e delle nevrosi della nostra società: il fissato con il fitness e la corsa, il nerd, il timido, la signora snob che getta plastica e fazzolettini di carta a terra, l’anziano che guarda i lavori e la vecchietta con il deambulatore e gli adolescenti che vivono i primi amori a suon di musica (rock, rap e trap naturalmente). Perché il Barbiere di De Angelis, il Barbiere targato Fanny & Alexander (il marchio di fabbrica è chiaro nelle tende svolazzanti, nel rigore e nel nitore del “set”, nella pulizia del gesto essenziale, mai macchiettistico, ma tragicomico nel raccontare con disincanto la vita, ma anche nell’ironia che scorre sottotraccia al testo), il Barbiere di Fanny & Alexander è il racconto di uno scontro generazionale. I giovani Rosina e Figaro da una parte, i vecchi (che vorrebbero però fare eternamente i giovani e hanno i loro stessi “pruriti”) Bartolo, Basilio e Berta dall’altra. In mezzo c’è il Conte, giovane, sì, ma già contaminato e sicuramente “corrotto” (non dimentichiamoci le Nozze in agguato) da una certa mentalità (che è stata ed è sicuramente quella di Bartolo e Basilio) economico-centrica, dove a muovere tutto è il denaro, che tutto (anche l’amore) sembra poter comprare.

Se Figaro canta «all’idea di quel metallo, portentoso onnipossente…» e non fa nulla per nulla (nemmeno un taglio di barba) perché «delle monete il suon già sento… l’oro già viene, viene l’argento che scende in tasca» per Basilio basta che «vengan danari». E il Conte ha sempre in mano mazzette di banconote. Paga tutti, musicisti (una band rock per la serenata) e Figaro (che alla fine mentre tutti festeggiano il lieto fine conta i soldi che si è guadagnato), suoi complici nella conquista di Rosina, una ragazza moderna ed emancipata che vive con un uomo anziano che vorrebbe sposarla, ma poi sceglie il Conte, più giovane di Bartolo (o forse non così tanto), ma già in doppiopetto e baffo supercurato da manager o politico rampante – e se non fosse che cronaca e bollettini medici suggeriscono rispetto, il pensiero andrebbe a feste eleganti, olgettine, bunga bunga finiti indistintamente nelle aule di tribunali e nei contenitori trash dei pomeriggi televisivi (a proposito Berta stira guardando la tv… come suggerisce di fare una nota conduttrice della tv commerciale).

Scontro generazionale. Ironia sottile della nostra società dove i vecchi guardano con sospetto i giovani, ma in realtà vorrebbero essere (nostalgicamente) come loro. De Angelis ci porta a guardare nelle loro case, spiando le vite degli altri da dietro il buco della serratura. Ne esce un racconto cinematografico, un lungo piano sequenza perché sul palco c’è lo spaccato di un condominio elegante, disegnato da un archistar dove (anche in contemporanea) si svolge l’azione: la bottega di Figaro, moderno Barber shop al (filologicamente esatto) numero 15 sulla sinistra (a mano manca) e con la facciata bianca; sopra un loft dove una band di ragazzi al motto di Music is my drug scritto a spray sul muro prova le sue hit (già dalla Sinfonia che si ascolta a sipario aperto, già in pieno racconto) e dove Berta si introduce di nascosto, spinta dai suoi pensieri impuri su un aitante giovane; e poi la casa di Bartolo, su due piani, il salotto di design con pianoforte a muro e immancabile dispenser di disinfettante (Bartolo è ossessionato dall’igiene, disinfetta tutto – d’altra parte siamo ancora in tempi di Covid) al piano superiore la camera di Rosina, pop e rosa, dove Figaro e Rosina si mangiano una pizza nel cartone consegnata da un rider. Davanti una strada, dove continuamente (forse anche troppo) passano tipi umani a fare da contrappunto (con controscene che a volte sono azzeccate, altre invece rischiano di essere ripetitive e distraenti) alla storia raccontata in musica da Rossini.

Che è restituita con bel gusto, piglio teatrale, passo drammatico e giusta punta di ironia da Giulio Cilona, al suo debutto in Italia. Il ventisettenne musicista (direttore, pianista e compositore) statunitense, attuale kappelmeister alla Staatsoper di Hannover e che da settembre sarà primo kappelmeister alla Deutsche oper di Berlino, guida la Filarmonica veneta e accompagna i recitativi al fortepiano con un’invenzione continua, ironica e colta al tempo stesso, popolare e raffinata: attinge a piena mani da Mozart, accenna a Traviata e introduce il Temporale citando quello drammatico del verdiano Rigoletto. Un Rossini misuratissimo, divertente, ma anche malinconico – bellissimo il tempo lento staccato per l’aria di Berta «Il vecchiotto cerca moglie» che diventa una riflessione patetica sul passare degli anni. Un Rossini in perfetto stile e senza eccessi ba-rock quello di Cilona che, si sente in ogni passo della sua direzione, ha fatto un grande lavoro di concertazione con l’orchestra (abbastanza buona la resa della Filarmonica veneta) e che tiene bene le fila con il palcoscenico (ma il Coro lirico veneto non è così impeccabile) sul quale si muove un cast musicalmente impeccabile e perfetto per la lettura registica.

A guidarlo Alessandro Luongo, un Figaro musicalissimo, trascinante e coinvolgente senza andare mai sopra le righe. Personaggio che il baritono rende modernissimo, spazzando via dal suo canto, intelligentemente calibrato e cesellato, i vezzi e gli eccessivi ammiccamenti di certa tradizione (che avrebbe fatto a pugni con il racconto moderno che si vede in scena). Voce bella e a fuoco tanto nei passaggi di coloratura quanto in quelli più lirici quella di Luongo, messa a servizio di un personaggio a tutto tondo, che il baritono ha interpretato tante volte (questa estate a Macerata la resa non era stata la stessa… ma non certo per colpa sua). E ci sono tanti Almaviva nella pur giovane (ma lanciatissima) carriera di Matteo Roma, voce di tenore tra le più belle di oggi, voce che ha dentro il colore antico e la sapienza preziosa della tradizione, voce che è avvolta da una luce capace sempre di sorprendere. Anche questa volta. Perché Roma restituisce un Almaviva di spessore, risoluto e presentissimo con una voce che sta evolvendo verso quella di tenore lirico (ascoltare su YouTube la sua Gelida manina o la sua Paterna mano per credere), ma capace ancora di piegarsi alle agilità rossiniane. Un fiume di voce sul quale il tenore lavora quasi per sottrazione con un alleggerimento continuo dello strumento senza che si perda una nota o una sfumatura di un canto multiforme.

Moderna e risoluta anche la Rosina che Mara Gaudenzi, interprete musicalmente intelligente e scenicamente efficace, colora del suo timbro brunito e avvolgente. Centri belli e acuti aguzzi, stile e agilità a fuoco per il mezzosoprano di Cattolica, tra le voci più interessanti e convincenti uscite dall’Accademia del Teatro alla Scala – e proprio alla Scala a settembre il mezzosoprano sarà ancora Rosina. A Milano (e non solo) Giovanna Donadini è stata tante volte Berta; lo è ancora una volta ora con un’interpretazione toccante e malinconicamente stralunata. Omar Montanari, voce limpida e capace di restituire l’ironia della parola rossiniana, fa di Bartolo una maschera tragica, lavorando ancora una volta per togliere dal personaggio rossiniano la polvere caricaturale della tradizione senza rinunciare a una caratterizzazione marcata e incisiva e moderna (seguendo anche la lettura registica) del vecchio che vuole sposare una ragazza giovane per assicurarsi la sua dote. Arturo Espinosa è Basilio, Francesco Toso Fiorello.

Chi ha vinto (?!) conta i soldi mentre i ragazzi del quartiere lanciano in cielo palloncini colorati. Segno di speranza nel futuro che De Angelis mette come inquadratura finale del Barbieredopo averci raccontato storie di personaggi che abitano un condominio di una qualsiasi delle nostre città. Personaggi che, ascoltando la musica di Rossini, osserviamo, spiando le vite degli altri. Come quelle che capita di incrociare in treno, un assonnato sabato mattina di aprile.

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 Ravenna – Teatro Alighieri: Il barbiere di Siviglia, di Daniela Goldoni | Operaclick, 27 aprile 2023

Allestire Il barbiere di Siviglia è un esercizio difficile. La fama dell’opera la rende oggetto di aspettative esagerate, senza trascurare il fatto che la sua popolarità fa sì che in pratica ogni spettatore coltivi, più o meno consapevolmente, una propria idea su come e cosa si dovrebbe fare e non fare. Diventa così difficile inventare, aggiungere e togliere, stravolgere e conservare, l’impressione è che come ti muovi sbagli.

Luigi De Angelis, co-fondatore di Fanny & Alexander, una delle più prestigiose e innovative realtà del teatro italiano degli ultimi trent’anni, ha mostrato come si affronta un simile totem, usando con sapienza gli strumenti del teatro, quello che nasce dalla riflessione rispettosa del testo, dal lavoro minuzioso che scaturisce da una lettura attenta, quanto di più distante da quelle trovate eclatanti che crollano velocemente di fronte alla logica inesorabile dei capolavori.

La scena, unica, mostra il pianterreno e il primo piano di un condominio a grandi finestre che affacciano sulla strada, quasi sempre a tende aperte. Le luci suggeriscono i momenti della giornata, in sintonia con le attività della strada: di notte dorme una senzatetto, di prima mattina c’è quello che corre e poi fa stretching, una signora cammina con un deambulatore, una ragazza col bastone bianco si ferma solo se le piace la musica, molti zainetti vanno e vengono, c’è lo spazzino che raccoglie le cartacce e avrà la sua parte nel giro dei biglietti di Rosina, c’è anche un Umarell (omarello, figura iconica emiliano-romagnola) che osserva gli exploit erotici di Berta con le mani dietro la schiena, come davanti a un cantiere. Spesso i passanti silenziosi, sei attori molto giovani, non si limitano a guardare ma hanno una vita propria che commenta gli eventi con tante piccole controscene, spesso appena accennate, una più bella dell’altra, rafforzando la vicenda quando rischia di essere fagocitata dai celeberrimi numeri rossiniani: una voce poco fa, largo al factotum, la calunnia escono dallo status di monumenti durante i quali tutto si ferma per sentire cosa fa il cantante, ricondotti nel fluire del racconto. Tutto senza ridondanze, senza forzature, senza alcun fastidio per chi guarda, con leggerezza e intelligenza. C’è un grande lavoro sul libretto, sulle parole, sulla stretta relazione con la musica e una notevole rapidità di pensiero teatrale. Si ride anche spesso, esito non da poco.

La compagnia di canto, servita da una regia così brillante, risponde in pieno perché tutta la costruzione teatrale è tesa a mettere in rilievo la parte musicale. Così Rosina, il giovane contralto Mara Gaudenzi, intona Una voce poco fa in ciabattine di ciniglia fucsia (lo leggiamo come un omaggio ad Aretha Franklin nei Blues Brothers) con naturalezza e un bel timbro caldo e ricco di armonici, composta eppure già opportunamente innamorata. Poi non perde mai l’aplomb e la prontezza senza cui non potrà sperare di liberarsi dallo status di coatta cui la vorrebbe costringere il tutore, sempre esattamente in linea sia con la musica che con gli strettissimi tempi teatrali. Alessandro Luongo è un bel Figaro, simpatico, attraente e malandrino senza strafare. Al servizio della vicenda, snocciola le sue gag come se niente fosse, alla moderna. Canta anche molto bene, senza opprimere con le scenette. Il giovane tenore Matteo Roma parte un po’ contratto nella serenata, poi si riprende a Se il mio nome e si rinfranca del tutto nel duetto del metallo. Da lì andrà dritto fino alla fine, sempre più a suo agio sia vocalmente che scenicamente. Omar Montanari come Bartolo non è poi così decrepito. È un dottore ossessivo-compulsivo, terrorizzato dai contagi, sempre con l’Amuchina in mano. Veste elegante e si fa beffare senza troppi isterismi. Con una emissione fluida e mai forzata, vola sul sillabato in souplesse, esatto e contenuto. Un sollievo. Anche Arturo Espinosa, Don Basilio estrae una calunnia soffusa, che galleggia sull’aria come da libretto. Come gli altri, non cerca la zampata memorabile, si tiene lontano da effetti grossolani e alla fine piace molto. Giovanna Donadiniscalza tutti i preconcetti su Berta. Trasforma Il vecchietto cerca moglie in una pacata riflessione sugli amori senili, racconta una storia diversa che culminerà in un riscatto, quando in una scena esilarante di seduzione convincerà Fiorello senza neanche troppa fatica, con soddisfazione di entrambi. Francesco Toso, Fiorello, onnipresente e sempre sul pezzo, completa un cast molto ben scelto in cui nessuno ha sgomitato per trovare il proprio spazio.

Giulio Cilonaha diretto l’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta. È un giovane direttore di formazione centro-europea con un curriculum molto importante, alla sua prima apparizione in Italia.  Lavora soprattutto in Germania, in Belgio e in Austria. È anche pianista, per questo ha accompagnato i recitativi al fortepiano con eleganza e humor. La sua direzione, improntata all’equilibrio, ha instaurato un rapporto stretto con le voci, sostenute e mai prevaricate. Le scelte dinamiche si sono rivelate calzanti, i famosi crescendo resi con gusto e forte senso del teatro, giunti al culmine senza strafare, partendo come da un remoto silenzio. Buono anche il coro invisibile, apparso al momento dei ringraziamenti in total black per mimetizzarsi sul fondale, assieme al maestro Flavia Bernardi.

Il pubblico, molto numeroso, non la finiva più di applaudire. I ringraziamenti sono durati un bel po’, come è giusto quando si assiste ad uno spettacolo ben riuscito in ogni suo elemento, divertente nel senso più alto del termine.

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 Il Barbiere di Siviglia secondo De Angelis, di Cesare Galla | Doppiozero, 1 maggio 2023

All’inizio del Barbiere di Siviglia secondo Luigi De Angelis, Figaro commette un lapsus così fulmineo che rischia di passare inosservato, ma che è decisivo perché in certo modo indirizza tutto lo spettacolo, giocato com’è su un sofisticato, quasi surreale effetto di straniamento. Al momento di leggere al conte di Almaviva il biglietto che Rosina ha lasciato cadere dal balcone, invece di pronunciare le parole che sono nel libretto di Cesare Sterbini («Le vostre assidue premure hanno eccitata la mia curiosità…»), l’ilare factotum attacca con adeguata seriosità le parole della lettera di Giorgio Germont a Violetta Valery, letta da quest’ultima al terz’atto della Traviata, quand’è ormai morente per la tisi: «Teneste la promessa…». È solo un attimo, un flash: di fronte all’espressione sbalordita di Almaviva, Figaro si corregge immediatamente, ridendo di sé stesso, felice della battuta. La divagazione è il fulmineo “climax” di un rovesciamento del senso del comico nel capolavoro di Rossini, preparato in quella scena anche dalla precedente apparizione di un giovane operatore ecologico, che raccoglie diligentemente il foglietto finito per terra costringendo Figaro a recuperarlo non senza qualche ridicola difficoltà.

La presenza decisiva di una piccola società tutta di giovani, che incarnano il “barbaro gusto” dilagante nel “secolo corrotto” di cui invano si lagna don Bartolo, è la griffe caratteristica di questo spettacolo di De Angelis. Il fondatore della compagnia Fanny & Alexander, nome di riferimento nel teatro d’innovazione, è frequentatore di quello musicale quanto basta per delineare – oltre ai progetti nella prediletta contemporaneità – una sorta di sintomatico itinerario attraverso capolavori conclamati di ogni epoca. E basti dire che dal giugno scorso recano la sua firma un Ritorno di Ulisse in patria monteverdiano a Cremona, un Lohengrin nella città più wagneriana d’Italia, Bologna, e ora questo Barbiere, dimostrazione di quanto il benemerito tessuto connettivo dei Teatri di Tradizione possa essere l’incubatore di una nuova e intrigante visione della tradizione stessa. Si tratta, infatti, di una coproduzione fra il Sociale di Rovigo e l’Alighieri di Ravenna (dove l’ha seguito chi scrive), destinata a viaggiare anche nelle Marche e in Toscana.

I dichiarati riferimenti del regista, sia per quanto riguarda ciò che si vede (De Angelis firma anche le scene e le luci, mentre i costumi e la drammaturgia sono di Chiara Lagani), sia per il tratto interpretativo non sono peraltro legati all’attualità più stringente, ma a un maestro del Movimento Moderno nell’architettura come Le Corbusier e a un protagonista del cinema anni Sessanta come Jacques Tati, creatore di una comicità stralunata e surreale. Tolto di mezzo ogni riferimento a Siviglia, con annessi e connessi che del resto musicalmente l’opera non cura se non in allusioni più testuali che musicali, ciò che si vede a scena fissa è una sorta di unità abitativa modernista su due piani, aperta verso il proscenio, nella quale da un lato c’è la bottega del barbiere, dall’altro il salotto di don Bartolo e sopra la stanza di Rosina. Conseguente l’arredamento, assai elegante; immancabili le televisioni, che i protagonisti considerano quasi un rifugio ma che il pubblico può solo intuire.

Davanti a questo piccolo mondo in conflitto generazionale (Rosina, Figaro e Almaviva “contro” Bartolo e Basilio, con Berta a fare da trait-d’union: anziana per età ma giovane di spirito), sfilano muti a proscenio i giovani della Gen Z che in locandina sono definiti “abitanti della città”. Sono idealmente personaggi alla Tati: nei loro gesti la normalità diventa paradosso e la loro relazione con i protagonisti della commedia tocca spesso il nonsense. Si tratta di un manipolo di bravissimi attori (Giada Cerroni, Sofia Clemente, Maddalena Dal Maso, Francesco Dall’Occo, Andrea Gennaro ed Enrico Zelante) che di volta in volta fanno i rockettari, indossano i panni dello spazzino e della suora, dell’addetto al delivery (Rosina mangia la pizza che le è stata consegnata mentre duetta con Figaro) e del runner sempre più dipendente dalla sua corsa quotidiana (fino a comparire alla fine con una lunga barba), di un impiegatino e di un senzatetto che si prepara il giaciglio con il cartone. L’attualità di troppe cronache fa irruzione durante la pagina solo strumentale che introduce al finale ultimo dell’opera, il cosiddetto “Temporale”, quando due figuri si accaniscono contro di lui, prendendolo a calci e riducendolo a malpartito.

Intorno e a contatto con questa varia e attualissima umanità, la partita amorosa e generazionale fra il Conte di Almaviva e don Bartolo per impalmare la vivace Rosina, un po’ maliziosa e un po’ infantile, viene giocata con una linearità narrativa che è tra i punti di forza dello spettacolo e con una sottigliezza attoriale con pochi paragoni rispetto a quel che passa sui palcoscenici operistici. Tutti i cantanti sono infatti anche attori divertiti e divertenti, non solo nel dipanarsi della loro storia, ma nel rapporto con la varia umanità silente e variamente indaffarata che li circonda. De Angelis, poi, non rinuncia alle controscene che la scenografia rende quasi naturali, anche se rischiose. Così, quando Rosina si presenta nella sua celebre Cavatina “Una voce poco fa”, a pochi metri da lei, nella bottega del barbiere, Figaro e Berta si fumano una sigaretta o forse si fanno una bella canna: una scena grottesca che probabilmente attira maggiormente l’attenzione del pubblico, così come l’attira maggiormente il silenzioso e caricaturale duetto erotico che sempre Berta ingaggia con Fiorello al piano terra mentre sopra le loro teste si decide la sorte di Rosina nel terzetto con Figaro e Almaviva che conduce al Finale ultimo.

Dal punto di vista drammaturgico, nulla di implausibile. Entrambe le situazioni sono legate a quanto va dicendo, o cantando, Berta. Che starnutirà a più non posso per colpa del tabacco poche scene dopo la Cavatina, mentre il suo caricaturale amplesso appare come la realizzazione dell’aspirazione espressa nell’Aria appena eseguita, “Il vecchiotto cerca moglie”, quando confessa di sentire ancora l’ardore erotico. Quella del regista è quindi una forma di destrutturazione giocata sul filo del rasoio. Il rischio è far diventare la musica poco più di una colonna sonora, ma lo scopo, a ben vedere raggiunto, è quello di sottolineare la forza paradossale di una partitura nella quale la commedia borghese si ibrida con il “comico assoluto” già segnalato da Stendhal nell’Italiana in Algeri, che precede il Barbiere di tre anni. La sintesi fra i due elementi si ha nel sorridente finale (al quale purtroppo, manca in questa produzione l’arduo ma ormai abituale Rondò conclusivo di Almaviva, “Cessa di più resistere”), con gli abitanti della città tutti in scena muniti di tanti palloncini colorati.

Sul podio (e alla tastiera del fortepiano per i recitativi) è salito Giulio Cilona, giovane direttore italiano la cui carriera si sta svolgendo per ora quasi esclusivamente nei Paesi di lingua tedesca: è Kapellmeister all’Opera di Hannover, tra pochi mesi si trasferirà con analogo incarico alla Deutsche Oper di Berlino. Alla guida dell’orchestra regionale Filarmonia Veneta, apparsa equilibrata e precisa alla bisogna, con buoni colori fra gli strumenti a fiato e discreta duttilità fra gli archi, Cilona ha proposto del Barbiere di Siviglia una lettura nella quale la necessaria brillantezza era comunque commisurata alla vasta gamma espressiva richiesta dal capolavoro, con tempi efficaci (anche se talvolta bisognosi di un’elasticità un po’ meno metronomica), fraseggio curato e stilisticamente convincente, dinamiche flessibili e di spontanea evidenza teatrale.

Compagnia di canto encomiabile non solo per la citata ottima predisposizione scenica, ma per una qualità musicale e vocale in generale di tutto rispetto, soprattutto considerando la giovane età di quasi tutti i suoi componenti. Alessandro Luongo è stato un Figaro nel quale ironia, atletica immedesimazione nel ruolo e brillantezza vocale erano in impeccabile equilibrio in una linea di canto capace di restare dentro alle coordinate stilistiche senza perdere nulla delle possibilità espressive di una parte finalmente sottratta a schematismi ormai frusti. Sullo stesso piano, il Bartolo di Omar Montanari si è definito lontano dall’abusato cliché del vecchio baggiano alla fine gabbato, grazie a un fraseggio in cui recitativi e canto trovavano ciascuno un’adeguata ragione musicale, ben sostenuta da un timbro non troppo scuro ma di sicura qualità espressiva. Se Arturo Espinosa è stato un Basilio un po’ “leggero” rispetto alla parte di basso profondo che ha il suo clou nella celebre Aria della calunnia, Matteo Roma ha lasciato intendere di poter padroneggiare la difficile parte tenorile di Almaviva con l’eleganza e la freschezza necessarie alla parte; alla recita cui abbiamo assistito ha fatto annunciare prima dell’inizio un’indisposizione che ha probabilmente influito sulla nettezza dell’agilità e la precisione in acuto, senza tuttavia che questi problemi andassero troppo a scapito della tenuta complessiva. Quanto a Rosina, Mara Gaudenzi ne ha proposto una caratterizzazione di sorvegliata musicalità, elegante nella zona centrale della tessitura, svettante con facilità, forse un po’ meno “presente” nella zona grave della tessitura ma sicuramente convincente grazie a una linea di canto sempre controllata ed efficace.

Il ruolo di Fiorello (e del comandante delle guardie) è stato risolto da Francesco Toso con la necessaria ironia, mentre Giovanna Donadini, trent’anni di carriera, specialista riconosciuta e sempre apprezzata del ruolo di Berta, si è proposta in una trascinante caratterizzazione a tutto tondo dell’onnipresente serva rossiniana, cantando con l’attenzione e la precisione necessarie ad evitare ogni sospetto di banalità e recitando da vera prim’attrice – grazie allo spazio che la regia di De Angelis le ha affidato –  in un riuscito mix di simpatia, ironia e sottigliezza gestuale.

Per lei e per tutti gli altri, il pubblico che affollava il teatro Alighieri ha decretato un successo senza ombre, nel quale è stato accomunato anche il Coro Lirico Veneto istruito da Flavia Bernardi, tenuto in questo spettacolo sempre fuori scena ma “presente” vocalmente quando era necessario.

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Pisa, Teatro Verdi – Il barbiere di Siviglia, di Filippo Antichi | Connessi all’Opera, 31 ottobre 2023 

Non è un’opera per vecchi. Potrebbe sintetizzarsi così l’allestimento de Il barbiere di Siviglia a firma di Luigi De Angelis della compagnia Fanny&Alexander che inaugura la stagione 2023/2024 del Teatro Verdi di Pisa coprodotto con i teatri di Rovigo, Ravenna, Lucca e Jesi. De Angelis riesce a calare il classico titolo rossiniano in un contesto a noi contemporaneo: imposta una scena fissa composta da quattro ambienti su due piani che rimandano alle costruzioni architettoniche di Le Courbousier in cui tutto appare sempre in bella vista. La casa di Bartolo diviene dunque una prigione di vetro per Rosina, costretta alla noia mentre fuori i giovani si divertono con irritazione del suo tutore. De Angelis legge, infatti, la vicenda di Barbiere come una contrapposizione generazionale tra i giovani, rappresentati dagli amanti, e i vecchi, di cui Bartolo è l’estremo esempio, attaccato com’è anche alla musica passata ormai di moda. Nonostante l’inserimento di varie comparse aggiuntive, il regista non forza mai il testo, ma riesce a connotare perfettamente i personaggi e a dare una carica inedita anche quando gli interpreti si ritrovano in pose fisse o prevedibili. Memorabile e paradigmatico per i fini dichiarati dal regista, è il finale primo in cui vediamo al piano terra i personaggi irrigiditi tra la noia e il fastidio nel cantare la stretta mentre al piano di sopra la festa giovanile si acuisce sempre più sul crescendo rossiniano, in una perfetta contrapposizione visiva tra un passato statico e un presente movimentato.

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L’araba fenice, di Luca Fialdini | L’Ape musicale, 2 novembre 2023 

Con il titolo d’apertura il Teatro Verdi di Pisa decide di puntare sulla qualità, regalando un Barbiere di Siviglia memorabile tra entusiasmi e contestazioni

PISA 27 ottobre 2023 – La stagione lirica 2023/2024 del Verdi di Pisa non avrebbe potuto sperare in una serata d’apertura migliore di quella dello scorso 27 ottobre, quando sulle tavole del teatro di Andrea Scala è stato presentato un Barbiere di Sivigliadestinato a guadagnarsi uno spazio nella memoria degli spettatori, sia per la qualità della produzione sia per il retrogusto (abbastanza divertente) di succès de scandale. Andando dritti al nocciolo della questione, l’elemento che ha catapultato la recita al di sopra delle più rosee aspettative è la sostanziale equivalenza delle quatto componenti della produzione: cast, regia, direzione e orchestra giocavano allo stesso – alto – livello e, già che c’erano, compatte come un sol uomo; una comunione d’intenti su così tanti livelli che si vede assai di rado, un’apparizione fugace dell’araba fenice.

All’alzata di sipario, l’attenzione viene inevitabilmente colpita da un allestimento che trasporta al presente l’azione dell’opera e lo fa con molta intelligenza: la commedia borghese di Beaumarchais prima e Sterbini poi trova nuova forza nell’ideazione scenica dal respiro molto europeo di Luigi De Angelis del Progetto Fanny & Alexander (a sua firma regia, scene e luci) che attraverso lo spaccato della tipica casa borghese monofamiliare mostra lo spaccato di una borghesia oggi come allora in una fase di transizione: per Beaumarchais in ascesa, oggi in equilibrio sempre più precario. La scenografia è estremamente curata, realizzata con gusto e soprattutto con coerenza; se proprio doveva essere presente una strada sulla scena – ad esempio – è delizioso che sia trattata come una vera strada con pedoni, netturbini, inquinatori e devoti al fitness. A volte si tira un po’ la corda, come quando si chiede al pubblico di credere che la band prog sia l’accompagnamento della serenata di Lindoro, ma questo genere di forzature le faceva anche Fellini, quindi chi siamo noi per giudicare? Molto suggestiva invece la decisione di non mostrare mai il coro e di tenerlo celato alla vista a ogni ingresso sul palco, possibilità realizzata con eleganza in virtù della scenografia verticale con elementi scorrevoli. Ben integrati i costumi di Chiara Lagani, in linea con la drammaturgia visiva e caratterizzati da una raffinata ironia.

De Angelis ha anche l’accortezza di saper misurare i propri passi, nel senso che nella recita ha proposto tutto quello che può essere coerente con il Barbiere senza alterarne la natura; pertanto ci sono livelli di lettura e sottotesti, ma tutto è alluso o solo accennato. In effetti il passaggio da Beaumarchais al libretto di Sterbini è sensibile e c’è un trattamento della materia molto diverso (un risultato molto meno politico di quel che era stato concepito da Mozart e Da Ponte, per dirne una) e l’attenzione è focalizzata in modo importante sull’aspetto strettamente comico delle situazioni drammaturgiche, meno su altri scenari; in questo senso si muove anche il lavoro di De Angelis che ha l’intelligenza di non caricare l’opera di troppi elementi e ogni volta che sfiora un tasto particolare, il gesto è straordinariamente delicato e posto quasi in secondo piano. È il caso della morbosità di Bartolo verso Rosina o del rapporto con il potere, oppure del bacio omosessuale del secondo atto. Parlando di quest’ultimo, si tratta di un dettaglio così marginale e così discreto che non varrebbe nemmeno la pena di citarlo se non fosse che palesemente a causa di questo e della «regia moderna» Luigi De Angelis s’è preso un bel po’ di buuu a fine rappresentazione: durante il “Cessa di più resistere” – che per fortuna non è stato tagliato – ci sono state effusioni molto caste tra due ragazzi che hanno spinto parte del pubblico a rumoreggiare anche nel corso della scena. Oltre al fatto che il tutto è stato condotto con la massima delicatezza, non solo l’azione sottolineava un momento della drammaturgia cioè la frase “Annodar due cori amanti / è piacer che egual non ha” (quindi al massimo può essere vista come una scelta leggermente didascalica), ma oltretutto è stata preparata con grande intelligenza dall’incontro galante di Berta con il bel militare, molto più esplicito e se vogliamo “volgare” nelle modalità. Chi scrive fatica a trovare una motivazione allo sconcerto di una parte del pubblico.