GHOSTS
tratto dai testi di Edith Wharton tradotti da Chiara Lagani (Einaudi)
con Andrea Argentieri e Chiara Lagani | musica, sound design e regia del suono Luigi Ceccarelli | regia, scene, luci e video Luigi Noah De Angelis | drammaturgia e costumi Chiara Lagani | realizzazione scena multimediale Voxel | registrazione voci Riccardo Pasini (Studio 73) | contributi musicali Gianni Trovalusci (flauti), Diego Conti (violino), Paolo Ravaglia (clarinetti) | organizzazione e promozione Andrea Martelli e Marco Molduzzi | amministrazione Stefano Toma | produzione E-Production, Ravenna Festival | in collaborazione con Fabbrica Europa, L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino e Istituti Culturali – Arti performative della Repubblica di San Marino
Al fantasma però non dovrebbe essere permesso di dimenticare che la sua unica possibilità di sopravvivere è proprio nei racconti di quelli che lo hanno incontrato, sia nella realtà che con la fantasia, e forse preferibilmente con quest’ultima. Per un fantasma è molto meglio essere vividamente immaginato che monotonamente «vissuto» e nessuno meglio di un fantasma sa quanto sia difficile essere raccontato con parole oscure e al contempo trasparenti.
Edith Wharton, Fantasmi
Che cos’è un fantasma? È la domanda che Edith Wharton si pone nella sua ultima raccolta di racconti intitolata, appunto Ghosts. Il fantasma è un’ombra, un’essenza, una figura straniera che incute paura perché proviene da un mondo ignoto oppure da un tempo lontano. Il fantasma ci connette con la soglia, con la morte, ma anche con la parte più profonda di noi stessi.
In un ambiente puro, evocativo, soprannaturale, fatto di suoni, luci e ombre, un uomo e una donna appaiono, scompaiono: incarnano di volta in volta gli evanescenti personaggi delle cinque storie spettrali che a poco a poco ci racconteranno.
Una donna suicida si ritrova nell’oltretomba. Il custode le chiede cosa abbia reso così insopportabile la sua vita. «Un marito sordo ai miei bisogni», risponde lei. Adesso però le cose cambieranno, la donna è destinata a un amore perfettamente felice. Ma è quello che vuole davvero?
Un giovane va in visita a una più anziana conoscente. Arrivato nella remota località dove essa vive, poco prima di vederla, si ricorda all’improvviso di aver sentito dire che quella donna si era ammalata gravemente e poi era morta. Eppure la donna gli appare davanti e il ragazzo, per quanto terrorizzato, le parla a lungo. Chi è davvero quella che ha davanti?
Una coppia ossessionata dai fantasmi compra una casa abitata da uno spirito restio a mostrarsi. La vita dei due si consuma nella spasmodica attesa dello spettro, ma chi e cosa stanno davvero aspettando?
C’è poi una coppia logorata dal tempo, dalla consuetudine e dal rimpianto di non avere avuto figli. I due sono arrivati a detestarsi. Una sera, mentre guardano la televisione succede qualcosa di terribile e inaspettato. La presenza arcana che appare in casa loro è un sogno, un’allucinazione o la realtà?
Due sposi tornano a casa, dopo una lunga permanenza in un’altra città. A lui non resta molto da vivere, è malato e lei non vede l’ora di arrivare dalla loro famiglia per riceverne conforto. Durante il viaggio in treno, però, l’uomo muore. La donna, presa dall’irragionevole terrore di essere fatta scendere e di ritrovarsi sola, in un paese sconosciuto, col cadavere dell’amato marito, a sbrigare tutte le formalità burocratiche del caso, decide di nascondere la sua morte agli altri passeggeri. Riuscirà ad arrivare in fondo al suo proposito e a quell’incubotico viaggio?
Tra apparizioni esplosive, colpi di scena e sottilissime inquietudini, l’universo di Edith Wharton, autrice di questi racconti, si spalanca davanti a noi e ci interroga sul senso di fine, la nostalgia, il rimpianto, i rimorsi, la paura e l’amore per l’invisibile.
TOUR
3 luglio 2025 | Ravenna Festival, Teatro Alighieri, Ravenna (PRIMA ASSOLUTA)
2 ottobre 2025 | Fabbrica Europa Festival, Teatro Cantiere Florida, Firenze
12 ottobre 2025 | Factory Fest, Teatro Torti, Bevagna (PG)
11 novembre 2025 | Teatro Titano, Città di San Marino
30 gennaio 2026 | Teatro Astra , Vicenza
FOTO







ph. Marco Caselli Nirmal
RASSEGNA STAMPA
MASSIMO MARINO, Doppiozero
MICHELE PASCARELLA, Gagarin Magazine
MARCO AMABILE, Sipario
ELEONORA POLI, Ateatro
Fantasmi, di Massimo Marino | Doppiozero, 4 luglio 2025
Il nuovo spettacolo di Fanny & Alexander ha debuttato anch’esso al Ravenna Festival, proprio nei giorni in cui usciva da Einaudi la raccolta La finestra della signora Manstey e altri racconti di Edith Wharton (pp. 430, euro 22), con la traduzione di Chiara Lagani, che ha firmato anche la drammaturgia e i costumi dello spettacolo Ghosts, ed è andata in scena con Andrea Argentieri. Il suono, evocante atmosfere misteriose, onde travolgenti e paesaggi brumosi, calme ultramondane e stridori decisamente horror, è di Luigi Ceccarelli. Dichiara la compagnia: “Abbiamo chiamato Luigi Ceccarelli, maestro e scultore di mondi sonori, per architettare una dimensione sonora panica che tenesse conto dei numerosi registri espressivi ed emotivi dell’epifania del fantasma”. Regia, scene, luci e video sono di Luigi Noah de Angelis.
Edith Wharton (1862-1937) visse e scrisse alla fine della stagione del realismo, quando nuovi temi e nuove forme stavano mutando la letteratura. Nel 1921 si aggiudicò il premio Pulitzer con quello che rimane il suo titolo più famoso, L’età dell’innocenza, portato sullo schermo da Martin Scorsese. Pur non avendo la forza innovatrice di Virginia Woolf e James Joyce, i suoi tanti romanzi e gli ottantanove racconti sentono l’urgere di tempi nuovi. Il libro Einaudi raccoglie storie scritte lungo tutto l’arco della vita ed è organizzato dalla curatrice Lagani come una selezione dei suoi temi principali. Tra gli altri, dalla scrittrice fu prediletto quello dei fantasmi, anche per il sodalizio con Henry James, che la introdusse nella società letteraria e dal cui estetismo pure lei si staccò, mostrando una maggiore attenzione ad affrontare questioni sociali.
Specialmente nelle narrazioni brevi, meno compatte dei romanzi, Wharton si sentì libera di ricercare nuove strade, tanto che Lagani scrive nell’introduzione al volume: “I racconti sono la scatola nera del suo viaggio esistenziale: è qui che affiorano tutti i temi, gli stili sperimentati, le rivendicazioni poetiche e politiche, è qui che emergono di più gli elementi autobiografici”. E più avanti: “I temi ricorrenti sono la donna, le costrizioni e le ipocrisie sociali, i fantasmi, la maternità, la morte”.
Dal libro lo spettacolo ha estratto cinque storie, che ci mostrano diverse ‘manifestazioni’ di fantasmi, senza lenzuoli e catene, principalmente come proiezioni dell’inconscio, di paure e desideri.
La nebbia avvolge il palco, rivelando e celando spazi che si dilatano in schermi laterali e in una finestra luminosa, pronta ad accogliere apparizioni video o a opacizzarsi, a restringere, concentrare, dilatare i luoghi dell’azione.
“Al fantasma però non dovrebbe essere permesso di dimenticare che la sua unica possibilità di sopravvivere è proprio nei racconti di quelli che lo hanno incontrato, sia nella realtà che con la fantasia, e forse preferibilmente con quest’ultima. Per un fantasma è molto meglio essere vividamente immaginato […]” (Edith Wharton).
Ci sono cinque coppie al centro delle cinque novelle portate in scena, con una tecnica drammaturgica mista, che alterna dialoghi a brani narrativi, che riescono a rendere il senso di attesa, di suspence, di esplorazione di quello specchio delle nostre ansie rappresentato dagli spettri dei racconti di fantasmi. Sono storie di rapporti infelici, o di misteri sepolti nella vita di uno dei membri della coppia, di morti fraintese e persone, come Miss Mary Pask, trasformate in orride controfigure della mummia della madre in Psycho. Sono un marito e una moglie che vorrebbero rompere la routine con qualcosa di inatteso (una figlia nel racconto, una tigre che irrompe in casa nella pièce teatrale), per poi ritrovare l’armonia dopo che la belva divoratrice si è allontanata (o la figlia dittatrice sposata). Ci troveremo in uno scompartimento ferroviario con un malato che viaggia assistito dalla moglie e con i paesaggi attraversati che scorrono, con colori acidi e viraggi verso immagini astratte. Quando lui muore nella cuccetta lei non sa cosa fare, per non essere lasciata col cadavere sulla banchina di una stazione, e non rivela il decesso fino all’arrivo a New York, fino a un drammatico finale a sorpresa.
Lo spettacolo nell’episodio della tigre ha momenti spassosi, grazie ai tempi perfetti degli attori, capaci negli altri momenti di addensare sospensioni e paure, risate isteriche e placidi sguardi all’eternità, oppure di trasformarsi in baluginanti immagini elettroniche nella finestra di fondo facendo insospettire sulla loro natura ectoplasmatica. Non mancano le atmosfere di pericolo, come la notte sulla scogliera avvolta dalla nebbia verso la casa di Miss Pask, che fa ricordare al visitatore che (forse) la donna è morta. Il suono interviene, con le luci, le coltri lattiginose, le immagini video sempre trattate, a creare quell’atmosfera di proiezione in un altrove che dilata lo sguardo dello spettatore, per riportarlo poi a storie molto quotidiane, come quella dell’uomo rapito dal fantasma di un vecchio socio che ha portato al fallimento, causandone il suicidio, arricchendosi e abbandonando la città per vivere nella quiete della campagna.
L’altrove è in agguato alle spalle, dentro, sotto la normalità, e la normalità è pronta a ghermire in ogni altrove, per cui la moglie del primo quadro, portata al suicidio dal tradimento del marito, poi, invitata da un argentato guardiano dell’aldilà a cercare il piacere della vita, sceglie di aspettare il marito, lo scricchiolare fastidioso (e rassicurante) dei suoi stivali, il suo sbattere la porta.
I video dilatano la visione, il suono la porta all’interno, i testi da Wharton creano un magico cortocircuito tra realtà, immaginazione, gioia e male di vivere, in uno spettacolo di raffinati intrecci.
https://www.doppiozero.com/fantasmi
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Essere e non essere: da Ghosts di Fanny & Alexander fino ai tagli del Ministero e alla nomina di Elena Di Gioia, di Michele Pascarella | Gagarin Magazine, 8 luglio 2025
La parola “fantasma” deriva dal greco phántasma, che a sua volta discende da phaínesthai, “apparire”. Ma prima ancora, phaínō significa “io illumino”.
Un fantasma, dunque, non è solo ciò che si manifesta, ma anche un atto di luce: qualcosa che attraversa l’ombra per un attimo e poi si ritrae.
Un’apparizione, sì, ma anche un segno luminoso che incrina la continuità del visibile.
Un’interruzione.
Una fenditura.
In questa zona crepuscolare si colloca Ghosts, nuovo lavoro di Fanny & Alexander visto giovedì 3 luglio in prima assoluta al Teatro Alighieri di Ravenna nell’ambito di Ravenna Festival.
È uno spettacolo che parla – letteralmente – con i morti, e non come esercizio gotico, ma come modo di restare fedeli all’assenza.
Nei primi istanti, sul grande schermo sul fondale, una coppia d’ali: incerte, appena visibili. Un’apparizione che si ripete, ma non si fissa. È un segnale: siamo dentro un teatro della persistenza retinica. Lì dove vedere significa trattenere per un istante, e poi lasciar andare.
Lettura dell’invisibile
Ghosts nasce dai racconti di Edith Wharton, scrittrice statunitense di raffinata complessità, quasi mai inclusa nei territori canonici del teatro italiano. La sua scrittura è abitata da forze laterali, da tensioni inavvertite: lavora per omissione, per allusione, per echi. È una lingua in cui il non detto pesa quanto ciò che si articola, in cui il senso si genera nei margini, nei secondi piani, nei vuoti di raccordo.
Chiara Lagani ha intercettato questa energia obliqua e ne ha fatto un doppio gesto creativo: da un lato, la curatela e la traduzione dei racconti per Einaudi (2025), dall’altro, la trasposizione scenica.
Sul palco, la sua voce è sospesa, fatta di pause che suonano come frasi. Una voce che avanza per approssimazioni, come se si avvicinasse a qualcosa che non si può mai del tutto pronunciare.
Andrea Argentieri, in controcanto, oppone una vocalità più fisica, radicata nel gesto, nella vibrazione del corpo. È una presenza densa, che ancora la scena a una materia terrena, mentre la voce di Lagani tende all’evanescenza.
Insieme compongono un sistema binario, in bilico tra manifestazione e sottrazione, tra il visibile e il suo riflesso, come in un dagherrotipo che trattiene per un attimo la luce di ciò che non c’è più.
I suoni di Luigi Ceccarelli sono presenze a loro volta. Non commentano, non accompagnano. Si dispongono nello spazio come concrezioni: ora tattili, ora astratte. Sono linee di tensione, brume improvvise, risonanze che passano attraverso il corpo più che attraverso l’orecchio. Ogni suono è un’apparizione, una consistenza, un soffio che incide.
Figure smarginate
Nel 1735, Alexander Baumgarten scriveva che tra la percezione concreta (sensualia) e l’immagine interiore (phantasmata) si estende un territorio intermedio, sfuggente.
Un’area di contatto mobile, dove il qui e ora del vedere si sovrappone all’altrove del ricordare.
È in quella zona di interferenza, dove nulla si fissa del tutto, che si colloca l’intervento registico di Luigi Noah De Angelis in Ghosts.
I racconti di Wharton non vengono rappresentati, né riassunti: vengono sfiorati, percorsi per linee laterali. È un’azione perimetrica, che privilegia i bordi, le derive, gli interstizi. La scena non diventa racconto, ma luogo sensibile, risonanza.
Ne emerge un teatro che non produce nette figure, ma affioramenti. Non conferma, ma solleva. I fantasmi, qui, non sono sagome o apparizioni: sono tensioni, zone di densità. Quel che si mostra non è mai completamente visibile, e proprio per questo resta.
“Il fantasma è un faro che illumina per un attimo la coscienza umana”, si è detto nell’incontro post-spettacolo. Ma è un faro intermittente, impreciso, incapace di fissare un senso. Non indica una rotta, non offre una salvezza. Espone, per un breve istante, la superficie del buio. E poi si ritrae.
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GHOSTS – Regia Luigi Noah De Angelis, di Marco Amabile | Sipario, 28 luglio 2025
Lame di luce, piani sequenza, psichicità dell’immagine sono solo alcuni degli elementi che hanno contraddistinto il lavoro di ricerca messo in campo dalla storica compagnia teatrale Fanny & Alexander, che lo scorso 3 luglio ha portato in scena per la prima assoluta ‘’Ghosts’’ presso il Teatro di Tradizione Dante Alighieri di Ravenna. Si tratta di una riduzione di cinque racconti tratti dalla raccolta della scrittrice e poetessa statunitense Edith Wharton, prima donna a vincere il premio Pulitzer per la Narrativa nel 1921 con il romanzo ‘’L’età dell’innocenza’’.
Il tema centrale dello spettacolo è il rapporto controverso che l’essere umano sperimenta con il mondo dell’invisibile: apparizioni, sensazioni e suoni si mescolano in questo psicodramma dai contorni gotici, in cui pubblico e attori vengono immersi in una realtà semi-percettiva. La cornice scenica è saggiamente disegnata dalla visione del regista Luigi Noah De Angelis, il quale si avvale del lavoro di traduzione, drammaturgia e cura dei costumi interamente affidato a Chiara Lagani. Quest’ultima, ha compiuto un prezioso lavoro di curatela dei testi della Wharton, raccogliendoli nel volume ‘’La finestra della signora Manstey e altri racconti’’ pubblicato da Einaudi il 24 giugno 2025, a pochi giorni dall’uscita dello spettacolo. Musica, regia del suono e sound design vengono invece affidati a Luigi Ceccarelli, che per l’occasione torna a collaborare con la ‘’bottega d’arte’’ ravennate dopo il successo ottenuto nel 2000 con ‘’Requiem’’.
Lo spettatore viene sin da subito catapultato in una dimensione costruita attorno a realtà ignote, figure spettrali e una tensione che cattura immediatamente l’attenzione. In questo spazio teatrale si avverte una richiesta tacita di coraggio; quei pochi che non ne possiedono abbastanza si sentono sopraffatti dall’intensità emotiva dell’opera e scelgono di abbandonare la sala. Ed è un vero peccato – verrebbe da dire – perché quel coraggio viene ampiamente ripagato dalla ricchezza e profondità dell’esperienza.
Nelle viscere dell’ombra, i due attori protagonisti, Chiara Lagani e Andrea Argentieri, si muovono alla ricerca di risposte che molti hanno tentato di afferrare attraverso i secoli. In questo slancio interpretativo, Andrea Argentieri e Chiara Lagani pare siano penetrati da figure evanescenti che agganciano la propria essenza alla loro, regalando ai presenti una performance coinvolgente. In particolare, l’attore di origini riminesi, Premio Ubu 2019 come miglior attore under 35, si lascia trasportare dal vortice emozionale che i cinque racconti portano con sé, riuscendo ad ancorare il proprio registro vocale alle sensazioni eterogenee che l’opera offre.
L’inquietudine rappresentata dallo spettacolo unisce il simbolismo dei colori e dei materiali scenici essenziali alla forza primitiva dei suoni, regalando un paesaggio scenografico e sonoro decisamente suggestivo. In questo contesto, le esigue sedie poste ai lati del proscenio si prestano a momenti di assoluta meditazione, per diventare poi solidi pilastri sui quali gli attori poggiano nei momenti di maggiore intensità. Il ledwall con pellicola specchiante posto al centro della scena – opera artigianale voluta dal regista – funge da strumento multimediale sul quale si susseguono immagini evocative in 3D: dal volto di Mary Pask tra le fiamme ai piani sequenza che accompagnano il viaggio di una coppia segnata dal dolore. Voci, rumori, musica e silenzi si dissolvono in un continuum sonoro, dove ogni elemento acustico perde la propria identità specifica per confluire in una dimensione drammaturgica unitaria. Le luci, mai frontali, creano spazi di movimento naturale per gli artisti, e sia Lagani che Argentieri occupano costantemente l’universo teatrale che li circonda con precisione e disinvoltura.
‘’Ghosts’’ si configura quindi come una sorta di rituale teatrale in cui esperienza artistica e partecipazione del pubblico convergono in un unico flusso emotivo, gettando lo sguardo oltre la percezione tangibile. In questo luogo opaco, dove ombre e fantasmi convivono, Fanny & Alexander costruisce un ponte sospeso tra i due mondi e lo fa attraverso un eccellente lavoro di ricerca, che si unisce alla riscoperta di un’autrice inizialmente bistratta dalla critica e poco considerata dalla letteratura italiana. Tuttavia, come spesso accade, certi autori arrivano solo quando i tempi culturali sono maturi per accoglierli. E forse è proprio ora, in un’epoca in cui tutto corre e i silenzi vengono percepiti come momenti sempre più rari, che i racconti dell’artista americana possono donare una prospettiva più attenta a una coscienza sociale troppo spesso distratta dalla frenesia contemporanea.
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Erranti, traghettatori e fantasmi tra innovazione e tradizione, di Eleonora Poli | Ateatro, 21 agosto 2025
Sempre di fantasmi si parla in Ghosts di Fanny&Alexander, al Teatro Alighieri per la prima nazionale di questa opera nata dal desiderio di Chiara Lagani di mettere in scena i racconti di Edith Wharton, autrice vissuta tra Ottocento e Novecento. Wharton è una delle voci più raffinate e penetranti della sua generazione, cresciuta nei salotti dell’élite dell’alta società americana di cui, fin da giovane, percepisce l’ipocrisia dietro il lusso e le buone maniere. Intelligente, sensibile e appassionata di arte, viaggi e architettura, con la sua scrittura ruppe molti schemi del suo tempo diventando un punto di riferimento del genere gotico.
Chiara Lagani e Andrea Argentieri, usando la tecnica dell’eterodirezione, si muovono in uno spazio apparentemente vuoto ma fantasmaticamente abitato da una moltitudine di personaggi. Il suono, diretto da Luigi Ceccarelli, restituisce allo spettatore una sensazione spaziale concreta: siamo in una casa settecentesca, in un lungo corridoio dove riecheggiano passi, urla e sussurri. Ogni porta conduce a una storia e ogni storia ci lascia l’interrogativo di che cosa abbiamo appena visto. Cinque storie che provano a costruire l’idea che l’autrice ha della figura del fantasma: è un rimpianto? oppure è un ricordo non troppo nitido? è un segno premonitore o semplicemente qualcosa di invisibile che ci affascina, una suggestione? e se fosse il riflesso di un desiderio?
