DIE ZAUBERFLÖTE / IL FLAUTO MAGICO
Singspiel in due atti
Wolfgang Amadeus Mozart
libretto Emanuel Schikaneder con Karl Ludwig Giesecke | direttore Michele Mariotti | regia Luigi De Angelis | Coro e Orchestra del Teatro Comunale di Bologna | maestro del coro Andrea Faidutti | scene e luci Luigi De Angelis e Nicola Fagnani | drammaturgia e costumi Chiara Lagani | versione italiana del testo Chiara Lagani e Greta Benini | aiuto regia Gianni Marras | aiuto regia Giorgina Pilozzi | assistente alla regia Greta Benini | assistente ai costumi Paola Crespi | video ZAPRUDERfilmmakersgroup | progettazione scenotecnica Nicola Fagnani | costruzione maschera Federico Capitani | preparatore coro voci bianche Alhambra Superchi | relazioni Elena Di Gioia | una produzione Teatro Comunale di Bologna in collaborazione con Fanny & Alexander
PERSONAGGI
Sarastro Mika Kares | Tamino Paolo Fanale | Oratore Andrea Patucelli | Primo sacerdote Simone Casolari, Andrea Patucelli | Secondo sacerdote Cristiano Olivieri | Terzo sacerdote Carlo Alberto Brunelli | La regina della notte Christina Poulitsi/Sonia Ciani (23 e 24 maggio) | Pamina Maria Grazia Schiavo | Prima Dama Diletta Rizzo Marin | Seconda | Dama Diana Mian | Terza Dama Bettina Ranch | Primo fanciullo Marco Conti
Secondo fanciullo Pietro Bolognini | Terzo fanciullo Susanna Boninsegni | Papagena Anna Corvino | Papageno Nicola Ulivieri | Monostatos Gianluca Floris | Primo uomo corazzato Cristiano Olivieri | Secondo uomo corazzato Luca Gallo | in video Emma Minzi e Alfonso Cafaro
DAS KÖNIGREICH RÜCKEN / NOTE DI REGIA
La tradizione è custodia del fuoco e non culto delle ceneri.
Gustav Mahler
Il Flauto Magico contiene una morale che mi piace:
cioè che l’amore è la cosa più importante
tra gli esseri umani, e la più importante del mondo.
Ingmar Bergman
Mentre viaggiavamo da un posto all’altro, mio fratello
si era inventato un regno proprio, che chiamava
il Reame del Didietro [Das Königreich Rücken].
Questo regno e i suoi abitanti erano forniti di tutto
ciò che ne poteva fare bambini buoni e felici.
Egli era il Re di questa terra, e questa idea pian piano
si radicò così a fondo in lui e lui la spinse tanto
lontano che il nostro servitore, che sapeva disegnare
un pochino, dovette farne una mappa, mentre lui
gli dettava i nomi delle città, delle piazze di mercato e dei paesi.
Maria Anna Mozart
Immaginiamo due bambini, Fanny e Alexander, in un Eden imprecisato, in un tempo indefinito.
Custodiscono un piccolo teatrino. Sono i guardiani dello sguardo. Vivono in un Reame parallelo di cui sono i regnanti. Sono due, forse fratello e sorella? Non ci è dato saperlo. Ci indicano una possibilità, una via. Il loro teatrino giocattolo è una riproduzione fedele di un teatrino dell’opera.
Hanno usato stoffe monocrome per costruire una scenografia stilizzata e ritagliare figure, inventarsi una favola. Immaginiamo di essere spettatori, e di essere contenuti nella sala di quel teatrino, abbonati o avventori che vogliono assistere all’opera. Facciamo parte dello stesso mondo sul quale si affacciano i due bambini, dal loro Reame del didietro. Siamo contenuti nel loro sguardo. Essi ci appaiono giganti. Ci hanno fatto avere occhiali appositi, grazie ai quali possiamo quasi toccarli e sentirli ancora più vicini, come se volessero coinvolgere ognuno di noi, uno alla volta, come a indicarci che la vicenda cui stiamo assistendo ci riguardasse nel profondo. Dall’esterno aprono e chiudono siparietti, quinte, diaframmi, mutano in continuazione lo spazio scenico, seguendo l’andamento della musica, immettendo al suo interno oggetti fantastici, illusori. Come in ogni Eden che si rispetti c’è un serpente-drago che compare all’inizio. Per i nostri due bambini, le nostre due divinità demiurghe che determinano tutto l’andamento dell’opera, è un giocattolo con cui giocare molto seriamente. È una minaccia, ma senza di esso nulla potrebbe accadere nella vicenda che stanno costruendo. È forse la causa scatenante di tutto. Il serpente-drago ci indica la via dell’ambiguità, la curva sinusoidale, l’impossibilità di stare su una linea retta, la dualità, la via della cedevolezza. Ci indica un’opportunità, il dubbio insito in ogni domanda. Non c’è atto di creazione vitale senza almeno una domanda iniziale.
Il Flauto Magico è l’opera dell’ambiguità, dove continuamente ci sono almeno due porte da percorrere, dove la luce è in parte contenuta nella notte e viceversa, dove nulla può essere mai dispiegato, chiarificato fino in fondo, ma tutto appartiene al regno sinuoso, fluido della musica. Alla magia della musica. Non è un caso che il doppio serpente avvolga il bastone di Hermes-Mercurio. E il mercurio è metallo liquido, che cede alle forme in cui viene raccolto. Hermes è la divinità degli incroci, dell’intermediarietà dei piani, delle variabili, che frequenta l’alto e il basso, spesso portando messaggi da una parte e dall’altra, tra la veglia e il sonno, mettendo in connessione mondi apparentemente lontani. Nel Flauto Magico ci sono tantissime figure alchemiche, interconnesse, coppie speculari, simmetriche, complementari: Sarastro e la Regina della Notte, Tamino e Papageno, Tamino e Pamina, Papageno e Papagena, Monostato e Papageno, Pamina e Papageno. Nessuna di queste figure appartiene mai a un aspetto solo del mondo, ma c’è in lei insita il dubbio dell’appartenenza al suo opposto o al suo riflesso simmetrico. Sarastro sarebbe figura di luce, solare, ma all’inizio della vicenda del Flauto Magico ci viene presentato come malvagio; allo stesso modo la Regina della Notte, inizialmente ci viene insinuato il dubbio della sua bontà di madre sofferente. Monostato è nero, attirato dal candore di Pamina… Papageno è speculare a Pamina perché il suo amore è cieco, puro, si innamorano entrambi senza aver visto l’oggetto del loro desiderio… Papageno e Pamino ci mostrano due vie parallele per intraprendere un viaggio iniziatico da due angolature differenti… Il Flauto Magico sembra dirci che non esiste atto di crescita interiore senza un processo alchemico, che riguarda prima di tutto se stessi e la relazione con l’altro e che non si arriva alla sublimazione dell’albedo senza aver attraversato la nigredo, non si può conoscere l’amore senza la potenza fluida della musica. Il Flauto Magico visto da due bambini ci offre un’opportunità: quella di percorrere fino in fondo le traiettorie dello sguardo mercuriale, infantile. E che il diventare adulti deve essere determinato da un corretto equilibrio tra le forze del puer e quelle del senex, senza dimenticare mai le sorgenti da cui scaturiscono e che le determinano.
Nel 1974 Ingmar Bergman ha prodotto un Flauto Magico per la televisione svedese, ambientato in un magnifico teatrino barocco. Non è un caso che il Sovrintendente del Teatro Comunale di Bologna Nicola Sani abbia chiesto alla compagnia Fanny & Alexander come prima opera da mettere in scena proprio il Flauto Magico. Per questo abbiamo voluto onorare la discendenza del nostro nome dal maestro svedese, omaggiandolo con un tributo. Le macchine fantastiche del teatro di Drottningholm, la possibilità di mutare le scene in pochissimo tempo da un’ambientazione all’altra con un sistema di moltipliche sono all’origine del nostro progetto scenografico, a partire da una sintesi delle forme e dei colori delle varie ambientazioni (il verde per il bosco, il blu/nero per la notte, il rosso per il palazzo di Sarastro), con l’attivazione di un meccanismo mutevole e fantastico. Molte delle dinamiche sceniche si ispirano alla regia di Ingmar Bergman, con una citazione spesso fedele delle gestualità e coreografie usate nel suo film. La sua insistenza sul dilagare della vicenda anche fuori dalle quinte, in una dimensione meta teatrale sono alla base della trasposizione dell’ambientazione del Palazzo di Sarastro nel teatro stesso in cui l’opera viene rappresentata, per cui Sarastro è nella nostra visione l’Artista creatore, il Sovrintendente del teatro e i suoi sacerdoti il personale del teatro stesso, vestito come le sue maschere, che per l’occasione indossano gli stessi abiti del coro. I costumi sono improntati a un criterio essenziale, infantile e fantastico: è come fossero stati immaginati e disegnati da quei due bambini iniziali, il cui sguardo vigile accompagna e forse contiene tutta la vicenda. Il loro carattere ha un che di elementare, stilizzato e infantile: il principe ha naturalmente un mantello azzurro; la principessa ha vestiti da fanciulla rosa e celesti, in lei s’attenua il blu della notte e il rosso dell’ardente Palazzo; Monostato è un brigante col mantellaccio; Papageno e Papagena sono verdi come il loro bosco, con un solo simbolico attributo di piume e foglie; il manto di Sarastro è vermiglio. Il colore degli abiti, in gran parte pitturati e decorati, allude a quello del disegno ideale di un bambino che dipinga le figure fiabesche del suo album infantile, figurine stilizzate e profonde avviluppate da un senso di puro mistero. Ed è proprio in quel luogo remoto, segreto e invisibile che vien custodito il fantasma d’ogni tema, ogni personaggio, ogni visione, forse ogni nota di questo Flauto: è in quel luogo forse che si apre la nostra video-ouverture, luogo remoto e invisibile in cui ha radice un doppio sguardo, doppio volto infantile, doppio del nostro stesso sguardo, d’artisti di spettatori. La splendida ouverture del film di Bergman, al centro della quale sono posti i volti degli spettatori in ascolto rapito, viene animata attraverso l’utilizzo della tecnica cinematografica dell’anaglifo (3D), una tecnica che mette in risalto il ruolo di testimone attivo di ogni singolo spettatore, aprendo l’esperienza verso un parto di fantasia, l’autentica possibilità di un atto creativo immaginativo.
Luigi De Angelis
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NOTA AL TESTO
Per la versione italiana del testo si è voluto tener conto delle temperature e del colore linguistico impresso da Ingmar Bergman al suo film Trollflöten girato in svedese nel 1974, che l’allestimento di questo nostro Flauto magico omaggia. La chiave del Flauto bergmaniano, dichiara il regista, è l’amore, “la cosa più importante tra gli esseri umani. E la più importante del mondo. Per sottolineare questo aspetto ho dovuto renderlo esplicito: è una delle rare modifiche che ho impresso al libretto originale”. Si è voluto così porre l’accento, accogliendo la libera traduzione bergmaniana del testo originale – almeno in certe sue parti – su questo principio ispiratore sostanziale, che viene qui portato avanti nella sua complessità dai personaggi principali, trovando espressione piena nelle parole di Sarastro (Amore come culmine della saggezza e della bellezza dell’arte) e nella metamorfosi dei due innamorati che attraversano l’orrore del regno notturno, suonando il loro flauto a occhi chiusi, fino alla luce. La via d’accesso di questo nostro Flauto, come già accadeva nel Flauto di Bergman è lo sguardo di due bambini: il teatro, con tutti i suoi alchemici incantamenti, l’opera stessa, e noi spettatori, tutto e tutti ne siamo avvolti e forse da esso generati. Si vedranno qui introdotte, pertanto, alcune aggiuntive figure di fanciullo – oltre a quelle dei tre geni, indicatori della giusta via, previste dal libretto originale. Troverete due bambini iniziali e fondativi, Fanny e Alexander (che nell’Ouverture immediatamente vi accolgono), e molti altri bambini, loro emissari e complici, che popolano la scena di volta in volta in veste di schiavo, di sacerdote, compagno di viaggio e di avventura dei personaggi di questa favola. Nella versione italiana del libretto li troverete indicati come “bambini”, oppure “Schiavi/bambini” o “Sacerdoti/bambini”. Essi producono spostamenti di senso e di asse, ricordandoci che quel che accade è forse solo il loro sogno, e noi ne siamo parte. “Mi sposto con la velocità dei secondi […] Abito sempre nel mio sogno e di tanto in tanto faccio ritorno nella vita reale” diceva Bergman di sé. Affermazione tutta mozartiana, in fondo, e peraltro somigliante a quella iniziale di Tamino, scampato al terribile drago: “Dove sono? È un sogno o la realtà?”.
I personaggi di questo gioco di marionette viventi sono figure semplici ed emblematiche, a due dimensioni. Amano e odiano di colpo; qui i cattivi sprofondano, i buoni trionfano, la principessa è prigioniera, il principe è bello e coraggioso. Eppure la grazia estrema della loro incarnazione in musica conferisce loro una profondità inaspettata, quella purezza tipica di ciò che è vivo e umano. E così nel teatrino delle marionette viventi, mondo infantile e mondo adulto convivono, nella complicazione delle passioni umane. Pamina allora è la dolce fanciulla, ma è anche colei che attraversa il fuoco e la morte; Sarastro non è figura rigida: la sua statura è ieratica, ma contempla la dolcezza amorosa del padre e il gioco col mondo dei bambini, primi soggetti della sua comunità; la perfida Regina è in primis una donna, quel che leggiamo in lei è un dolore esacerbato e cupo, l’algida violenza, ma anche la seducente sensualità; Monostato è di una nerezza tutta psichica, come il suo amore e la sua anima, che fan tremare Pamina; perfino Papagena, foriera della vita e della primavera, ha un’epifania arcana, misteriosa ed enigmatica: volto di vecchia, corpo di fanciulla, scortata da bambini. Sarà molto evidente nella resa linguistica dell’italiano la coloritura impressa alle figure, con esiti talvolta liberi, alla ricerca di un senso di complessità che muove la radice doppia di ogni personaggio. Bergman non esita a scaldare la temperatura degli aggettivi, a neutralizzare la retorica di certe formule trovando un ritmo e un’armonia speciale all’incanto del suo sogno.
Si è scelto di affiancare nel libretto la versione tedesca classica, corredata delle didascalie originali, con quella più libera – e di matrice bergmaniana – affidando allo spettatore il gioco di comparazione e specularità dei sensi paralleli.
Ultima notazione: il coro-comunità di Sarastro, in questa edizione del Flauto è il popolo del personale del teatro, le maschere: i suoi interventi provengono dalla sala, dal palco, dal teatro tutto. Sarastro è circondato dai bambini, dalle maschere del teatro (sacerdoti, schiavi e seguito) e dalla comunità degli spettatori, che sono anch’essi in fondo attori, più o meno consapevoli, di una storia tutta rivolta alla magia dell’arte e della musica e alla potenza dell’amore. All’amore e alla bellezza dell’arte si impronta anche la resa di alcuni tra i passi più commoventi del libretto, come il famoso duetto tra Papageno e Pamina, di colore quasi lucreziano, e l’imponente chiusa del coro in cui bellezza e sapienza son totalmente e finalmente fusi con l’immagine d’Amore (“L’amore ha vinto, e incorona bellezza e saggezza”).
Chiara Lagani
[fotografie di Rocco Casaluci]