DA PARTE LORO NESSUNA DOMANDA IMBARAZZANTE

tratto dalla tetralogia L’amica geniale di Elena Ferrante (Edizioni e/o)

con Chiara Lagani e Fiorenza Menni  | ideazione Luigi De Angelis, Chiara Lagani, Fiorenza Menni  |  drammaturgia Chiara Lagani / regia e progetto sonoro Luigi De Angelis  | cura del suono Vincenzo Scorza  | costumi Midinette |  organizzazione e promozione Maria Donnoli, Marco Molduzzi  | amministrazione Stefano Toma | produzione E-Fanny&Alexander | in coproduzione con Ateliersi | ringraziamenti Andrea Argentieri, Enrico Fedrigoli, Francesca Pizzo, Giorgia Sangineto  |  testi della prima parte brani da L’amica geniale di Elena Ferrante  |  testi della seconda parte di Chiara Lagani (liberamente ispirati a Lyman Frank Baum, Toti Scialoja, Wislawa Szymborska)


 

1. L’Amica geniale, una lettura

Nel primo dei quattro romanzi del ciclo L’Amica geniale di Elena Ferrante, due bambine gettano per reciproca sfida le loro bambole nelle profondità di uno scantinato nero. Quando vanno a cercarle, le bambole non ci sono più. Le due bambine, convinte che Don Achille, l’orco della loro infanzia, le abbia rubate, un giorno trovano il coraggio di andare a reclamarle. Le due attrici, in questa lettura, si fanno fisicamente attraversare dal testo di Elena Ferrante, la storia è “detta” dai loro corpi e lascerà su di loro un’impronta indelebile.

2. Storia di due bambole, fotoromanzo animato

Qui ci sono solo due bambole. Sono forse le due bambole perdute? Nello spazio scuro e altamente simbolico in cui sono state abbandonate, le due figure si muovono e raccontano, senza parole, la loro storia. Che eventi si consumano nel recesso misterioso e non scritto (della storia, del romanzo) che le ha prima accolte e poi fatte scomparire? Quelle bambole non hanno voce per rispondere a questa domanda, ma nemmeno per farne di nuove.

Da parte loro nessuna domanda imbarazzante
e tu allora che cosa gli rispondi, invece di tacere con prudenza?
O di cambiare evasivamente il tema del sogno?
O di svegliarti al momento giusto?

W. Szymborska

TOUR

21 giugno 2017 | Teatro Astra, Torino
4 luglio 2017 | Teatro La Cucina, Milano
11 ottobre 2017 | Centrale Preneste, Roma
19 ottobre 2017 | Teatro delle Passioni, Modena
4 novembre 2017 |  Teatro Felix Guattari, Forlì
15 novembre 2017 | Teatro Ca’ Foscari, Venezia
20 dicembre 2017 | Teatro degli Atti, Rimini
Dal 21 al 25 marzo 2018 | Sì, Bologna
Dall’8 al 10 marzo | Angelo Mai, Roma
16 dicembre 2018 | Teatro Eliso, Nuoro
19 gennaio 2019 | Auditorium Le Fornaci, Terranuova Bracciolini (AR)
3 marzo 2019 | Teatro Dei Servi, Massa (MS)
Dal 29 al 31 marzo 2019 | Galleria Toledo, Napoli
21 luglio 2019 | Baglio di Stefano, Gibellina (TP)

foto Enrico Fedrigoli

RASSEGNA STAMPA

OSVALDO GUERRIERI, LA STAMPA
SARA CHIAPPORI, LA REPUBBLICA
CAMILLA TAGLIABUE, IL FATTO QUOTIDIANO
RENATO PALAZZI, IL SOLE 24 ORE
KATIA IPPASO, IL VENERDÌ DI REPUBBLICA
MARIATERESA SURIANELLO, IL MANIFESTO
MASSIMO MARINO, CORRIERE DI BOLOGNA
GIANLUCA POGGI, GAZZETTA
NICOLA ARRIGONI, SIPARIO
SARAH PERRUCCIO, LEGGENDARIA


L’amica geniale della Ferrante ha perso la bambola, di Osvaldo Guerrieri | La Stampa, 22 giugno 2017

Che faccia hanno Lila e Lenù? Se lo domandava qualche giorno fa “Vanity Fair” prefigurando la fiction con cui Saverio Costanzo si accinge a portare in tv “L’amica geniale” della pseudo Elena Ferrante. Importa la domanda? Non saranno forse le solite “facce da fiction?”. In attesa di sciogliere il dubbio noi, nel nostro piccolo, ci prendiamo un piccolo vantaggio teatrale sulla televisione e anche sul cinema. Poiché, fatalmente, anche il cinema si è messo al lavoro per dare circolazione ancora più ampia al già vastissimo successo editoriale del ciclo di quattro romanzi imperniati sull’amicizia sessantennale delle due suddette Lila e Lenù.

In una torrida sera di giugno, in un ancora più torrido teatro Astra non refrigerato da nulla se non dal desiderio, il Festival delle colline torinesi ci ha resi spettatori della performance “Da parte loro nessuna domanda imbarazzante”. Il titolo, tratto da un verso della polacca premio Nobel Wislawa Szymborska, sarà suggestivo, ma è senz’altro fuorviante. Non lascia immaginare che sotto la sua superficie si nasconde nient’altro che “L’amica geniale”, riduzione vocale-gestuale del romanzo affidata alle voci e ai corpi di Chiara Lagani e Fiorenza Menni, presenze vitalissime della ditta ravennate “Fanny & Alexander” molto assidua nella storia del festival torinese.

Il progetto di “Fanny & Alexander” è vasto e ambizioso. Mira alla messa in scena dell’intero ciclo romanzesco nell’arco di un anno. Intanto c’è questo primo capitolo, un preludio di struggente dolcezza e misteriosità, un primo atto fedelissimo alla pagina scritta e al tempo stesso così inventivo, così ri-creativo. Si parte dall’oggi, dalla notizia della enigmatica introvabilità di Lina, sparita da casa senza lasciare tracce, neppure la più labile, ma subito ci si proietta indietro nel tempo, all’epoca in cui Lina e Liù erano bambine a Napoli e diventavano amiche sottoponendosi alle prove di coraggio che le terrorizzavano. Per esempio: infilavano le mani dentro i tombini fingendo di non temere gli scarafaggi e i morsi dei topi; oppure salivano le scale fino all’appartamento di don Achille, l’orco delle favole, l’uomo immaginato “grosso, pieno di bolle violacee, furioso”.

La prova delle prove, nata da un sentimento di stizza, fu però il lancio nello scantinato della bambola di Lenù seguito dall’altrettanto stizzito lancio della bambola di Lila. Si trattava di andarle a recuperare. Ma, una volta scese nello scantinato, in un buio denso di paura, le due amiche non trovarono nulla. Le bambole erano scomparse.

Lagani e Menni ci restituiscono il racconto per filo e per segno. È come se lo leggessero. In un primo momento, su un palcoscenico nudo, nero come una camera oscura fotografica, vestite di bianco, le due attrici narrano la nascita di un’amicizia. Dopodiché, vestite di nero, “vivono” l’amicizia come fosse un passo di danza. Ascoltiamo ancora le frasi della Ferrante, magari mescolate con le filastrocche di Toti Scialoja e con le note “a margine” di qualche altro scrittore, e intanto l’atmosfera diventa sincopata, la parola si fa martellante come il ritmo del gesto e si avvita intorno al mistero di un’amicizia capace di tornare con tutto il suo mistero sull’onda caotica del tempo. Come sappiamo, questo è soltanto un inizio, ma, a suo modo, è già una squisitezza.

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Fanny & Alexander giocano con le parole di Elena Ferrante, di Sara Chiappori | La Repubblica, 4 luglio 2017

Il titolo, Da parte loro nessuna domanda imbarazzante, è un verso della Szymborska, ma il lavoro si immerge nell’Amica geniale di Elena Ferrante. Corto circuito tipico di Fanny & Alexander, che in questi vent’anni di teatro hanno scardinato il canone della narrazione lineare procedendo per progetti multipli e prismatici, oggetti complessi scagliati contro la dittatura dell’interpretazione univoca. Non aspettiamoci dunque un adattamento della quadrilogia best seller della scrittrice misteriosa. Per quello arriverà la fiction diretta da Saverio Costanzo.
Loro, ovvero Chiara Lagani e Luigi De Angelis qui insieme a Fiorenza Merini (fondatrice di Teatrino Clandestino, oggi Ateliersi), si muovono altrove. In cantiere hanno un ciclo di quattro spettacoli corrispondenti ai quattro romanzi di Ferrante. Per ora è pronto il primo, che si concentra su un episodio specifico, quello delle bambole. Lila e Lenù, le due protagoniste, sono bambine, giocano nel cortile dei casermoni popolari dove sono nate e stanno crescendo, alla periferia di Napoli. Per sfida reciproca gettano le loro bambole nel buio di uno scantinato proibito, dove scenderanno a cercarle senza più trovarle. Andranno a reclamarle da don Achille, trovando il coraggio di affrontare “l’orco” del rione. «È l’episodio fondativo dell’amicizia geniale, il dispetto originario che è anche patto d’amore – dice Chiara Lagani, che firma la drammaturgia ed è in scena con Fiorenza Menni – Lei è la mia amica geniale. Quando ho letto i romanzi non ho potuto non pensare a noi due. Del resto, questo è uno dei motivi di fascinazione per Elena Ferrante, una maestra nel creare strane dinamiche di identificazione che ti avvincono in un labirinto da cui non vuoi e non puoi uscire».
La struttura del lavoro è doppia. Nella prima parte viene detto il testo così com’è. «Integro, senza che sia stato toccato nulla: L’unica voce narrante però si sdoppia, una sorta di strabismo che divarica e sovrappone i due sguardi femminili». Nella seconda, decisamente più performativa, a muoversi sono le bambole, protagoniste della parte non scritta del romanzo che in qualche modo si collega a un altro racconto di Ferrante, la favola La spiaggia di notte. «Dove sono andate a finire le bambole? Sanno tutto ma non possono parlare. Un incubo composito, un gioco di fantasia in cui due oggetti prendono vita. L’infanzia, come il teatro, è il massimo dell’animismo».
Come in molti dei loro lavori (il progetto su Ada di Nabokov o quello sul Mago di Oz) e come certifica il nome che si sono scelti, a interessare i Fanny è ancora una volta l’infanzia. La sua dimensione enigmatica è tremenda, il rebus biografico dell’identità, il sistema incrociato di specchi che mentono e svelano scambiando il vero con il verosimile. Da questo punto di vista, anche il mistero Ferrante assume un interesse poetico che ha poco a che vedere con il gossip e la caccia all’autrice. «Sapere chi è non è molto interessante. Lo è molto di più il suo gioco a non farsi trovare».

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“O buio mio”, Ferrante depurata da Napoli sul palco universale, di Camilla Tagliabue | Il Fatto Quotidiano, 6 luglio 2017

Dopo il successo (planetario) editoriale è atteso quello televisivo, quando nel 2018 uscirà la serie diretta da Saverio Costanzo; intanto la “Ferrante Fever” che ha contagiato gli States ha un focolaio di ritorno anche in patria, dove ha debuttato Da parte loro nessuna domanda imbarazzante, prodotto e ideato da Fanny & Alexander e Ateliersi, appena passato al festival milanese “Da vicino nessuno è normale” e in replica in autunno a Roma (11 ottobre), Modena (14-15 ottobre) e Forlì (4 novembre).
Mentre nel mondo il brand si vende furbescamente come “napoletano doc”, le due compagnie emiliano-romagnole hanno sfrondato l’opera da riferimenti localistici e folcloristici, rinunciando a qualsiasi ammiccamento, retorica e stereotipi partenopei. Al particolare, insomma, hanno preferito l’universale, “limitandosi” a riaffabulare la storia di un’amicizia femminile, di un’educazione sentimentale, di una dolorosa iniziazione alla vita adulta: solo per questa essenzialità, o forse pudore, meritano un applauso.
Napoli certo rimane il set della narrazione: protagoniste, come nel primo libro della saga, sono Elena e Raffaella bambine, timida e impacciata una quanto l’altra è avventurosa e volitiva, ai limiti della proverbiale crudeltà infantile. È proprio Raffaella, detta Lila, infatti, a gettare in uno scantinato la bambola dell’amichetta, che a sua volta ricambia il gesto con muta stizza. Da qui parte la rocambolesca ricerca dei fantocci perduti, prima nella terribile cantina e poi a casa di don Achille, un tipaccio, un “orco”, ritenuto responsabile (se non lui, i suoi figli) del furto dei giocattoli.
Dirette da Luigi De Angelis, le superbe interpreti, Chiara Lagani e Fiorenza Menni, di bianco vestite, si “fanno fisicamente attraversare dal testo”, in una partitura di suoni, gesti e luci asciutta e rigorosa quanto poetica. Viceversa, nella seconda parte della pièce, le attrici, di nero vestite, danno corpo a un “fotoromanzo animato” nei panni di due bambole, forse proprio “quelle due bambole perdute”, anche se sembrano uscite da un film di Tim Burton e parlano in rima con vocine deformate, strazianti, horror. Qui si spiega il titolo mutuato dalla Szymborska: “Da parte loro nessuna domanda imbarazzante/ e tu allora che cosa gli rispondi, invece di tacere con prudenza?” O di cambiare evasivamente il tema del sogno? / O di svegliarti al momento giusto?”.
Oltre ad andare, senza fronzoli, al cuore del romanzo, l’operazione è di raffinata intelligenza letteraria, e fa onore due volte all’autrice: anziché chiudere il libro in un recinto spettacolare e didascalico, apre la narrazione a nuovi intrecci, nuovi mondi, nuove storie possibili, proprio come fa il lettore davanti alla pagina scritta. Tutto il contrario insomma di quelle trasposizioni teatrali, cinematografiche o televisive (la maggior parte) in cui l’opera è totalmente schiacciata sull’immaginario dispotico del regista e dell’attore: per dire, chi si è mai immaginato Keira Knightley leggendo Anna Karenina? O Leonardo Di Caprio sfogliando Il grande Gatsby?

È evidente che i personaggi letterari, nella fantasia dei lettori, sono sempre e comunque più belli, intensi e dannati di quelli interpretati dai fascinosissimi divi di Hollywood. Questo lo raccontano magistralmente Lagani e Menni nella loro apparente sobrietà scenica: lavorando per sottrazione, aggiungono vita all’immaginario dello spettatore.
Ovviamente lo spettacolo non parla solo di bambine e bamboline: c’è l’amarezza di un’infanzia di cui non si ha nostalgia, ma anche la sparizione di Lila anziana, “strega elettronica” che riesce genialmente a volatilizzarsi in un’epoca di tracciabilità, reperibilità h24 e impronte digitali ovunque. L’atmosfera è quella di un giallo o delle migliori fiabe dei Grimm: nerissima, poiché – scrive Ferrante – “la vita vera si sporge non sulla chiarezza ma sull’oscurità”. Alla favola del “Paese del sole” chi ci crede più, se non gli americani?

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Il genio delle bambole, di Renato Palazzi | Il Sole 24 Ore, 30 luglio 2017

Dopo alcune esperienze in ordine sparso, Fanny & Alexander tornano a quei progetti ciclici che hanno caratterizzato tanta parte del loro lavoro. Sulla scorta dei grandi percorsi a tappe nelle pagine di Ada di Nabokov e del Mago di Oz di Frank L. Baum, Luigi De Angelis in veste di regista e Chiara Lagani nei doppi panni di drammaturga e attrice – affiancata per l’occasione da una compagna di scena, Fiorenza Menni, dell’altro gruppo romagnolo Ateliersi – affrontano un nuovo viaggio in divenire, stavolta nei quattro libri in cui è diviso il romanzo di Elena Ferrante L’amica geniale.
Da parte loro nessuna domanda imbarazzante, il breve spettacolo presentato al Festival delle Colline Torinesi, e poi a Milano, alla rassegna “Da vicino nessuno è normale” – dove l’ho visto – parte da brani del primo volume, in cui una delle due protagoniste, Lila, scompare all’improvviso cancellando ogni traccia, e la sua vecchia amica d’infanzia Lenù cerca di ricostruirne le intenzioni risalendo alle radici stesse del loro rapporto. Si tratta, ovviamente, dell’inizio di un processo compositivo di cui è per ora difficile capire gli obiettivi. Ma ciò che è stato mostrato ha già comunque una sua autonoma qualità e compiutezza formale.
Il nucleo di questo primo “capitolo”, incentrato sul confronto fra i caratteri ribelli delle due figure femminili, consiste soprattutto in un episodio, quello in cui loro, da bambine, a Napoli, gettano le rispettive bambole nel buio di una cantina, e vanno poi a tentare di recuperarle per mettere alla prova il proprio coraggio. Ma le bambole non ci sono più: e allora, per ulteriore sfida, salgono a casa di don Achille, un mito nero del quartiere, probabilmente un esponente della malavita organizzata, accusandolo di essere stato lui ad impossessarsene. E quelle bambole, emblematicamente, riappariranno dopo la scomparsa di Lila, come un segnale in codice o un misterioso congedo.
Questa piccola vicenda non viene tradotta, in un’azione vera e propria, ma trasformata in una partitura di parole, di gesti, di suoni. Le due raccontano se stesse passando di continuo dalla prima alla terza persona, scambiandosi i ruoli di narratrice e di oggetto della narrazione, proseguendo l’una le frasi iniziate dall’altra. Alla serrata trama verbale corrispondono insondabili geroglifici di movenze ritmiche, le mani liberate nell’aria a tracciare astratte geometrie, i piedi scalzi spostati sul pavimento come per accennare dei passi trattenuti. La studiatissima sintassi fisica e vocale evoca un ordito di sottili simmetrie e lievi scarti, a cui corrispondono dei perfetti incastri musicali.
Nella prima parte dello spettacolo, le due attrici – ⁠stagliate in uno spazio rigorosamente vuoto, inquadrate dalle luci contro uno sfondo tutto nero, come inquietanti emanazioni del loro stesso inconscio – sono entrambe vestite di bianco, hanno entrambe i capelli e i volti chiari, due gemelle, le copie fedeli, le immagini speculari l’una dell’altra. Più che due individualità propriamente definite, sembrano delle entità bizzarramente sospese, strane creature né adulte né bambine, né del tutto umane, né del tutto artificiali: forse, appunto, due bambole viventi, l’incarnarsi nelle bambole del passato delle loro rispettive proprietarie.
Nella seconda parte la situazione si ribalta: ora le due sono vestite di nero, hanno i capelli scuri e le labbra ugualmente scure sui volti d’un pallore cadaverico. La prospettiva, qui, sembra farsi diametralmente opposta: anziché bambine che parlano per bocca delle bambole, sono bambole che hanno viaggiato attraverso il gelo e la solitudine della cantina, acquisendo sentimenti umani. Sono le giovani Lila e Lenù che progettavano a loro volta viaggi e fughe da casa, affrontando – come le bambole – il proprio destino. Sono Lila e Lenù morte. Sono Lila e Lenú che, nelle tenebre della cantina, hanno compiuto per interposta persona l’esperienza della morte, hanno preso coscienza della morte che cammina al loro fianco.
Vedremo dove porterà in futuro questo nucleo di intuizioni. Ma vanno sottolineate fin da ora l’estrema cura stilistica, d’altronde tipica di Fanny & Alexander, e la grandissima prova di bravura della Lagani e della Menni.

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Le amiche geniali esistono per davvero, di Katia Ippaso | Il Venerdì di Repubblica, 29 settembre 2017

“Nel giorno in cui ci scambiammo per la prima volta le bambole lei, appena ebbe Tina, la spinse oltre la rete e la lasciò cadere nell’oscurità”. Nelle prime pagine de L’amica geniale (edizioni e/o), Elena Ferrante presenta le due bambine, Elena e Lila, e le loro bambole, Tina e Nu. Chiara Lagani, attrice e drammaturga della storica compagnia Fanny & Alexander, ha seguito la caduta nell’oscurità di quella bambola, la storia rapinosa delle due amiche e dei loro doppi di pezza e celluloide, per immaginare “due figure, prima bianche e poi nere, in uno spazio sempre nero”.
Da parte loro nessuna domanda imbarazzante, regia e progetto sonoro di Luigi De Angelis, in scena l’11 ottobre al Centrale Preneste di Roma all’interno del festival Teatri di Vetro, ci fa ascoltare, come spiega la stessa Lagani, alcuni brani del romanzo della Ferrante, il primo della quadrilogia che ha reso famosa la misteriosa autrice. “Nel primo tempo, io e Fiorenza Menni siamo due bambine che vanno a recuperare le loro bambole nell’oscurità, e le parole sono quelle della Ferrante. Nella seconda parte, diventiamo bambole attraversate da versi miei liberamente ispirati ai testi di Wislawa Szymborska, Lyman Frank Baum, Toti Scialoja. Siamo due colori che si fondono in un unico colore, una sola voce con due corpi”.
Mentre la detective story sull’identità di Elena Ferrante non accenna a placarsi, al punto molti sono pronti a scommettere che dietro la sua prosa ci sia in realtà lo scrittore Domenico Starnone, Chiara Lagani difende li mistero del caso Ferrante. “Non vorrei affatto conoscere il volto della scrittrice, amo la suspense attorno a lei e nella vita dei suoi personaggi. All’inizio ero piuttosto scettica sul valore della saga della Ferrante, non sono amante del mainstream, ma nel momento in cui ho cominciato a leggere L’amica geniale non ho smesso più finché non ho finito il ciclo dei quattro romanzi (Storia del nuovo cognome, Storia di chi fugge e di chi resta, Storia della bambina perduta, ndr). Per me la cosa che conta è la capacità che l’autrice ha, chiunque essa sia, di creare una tensione continua. Una tensione che si regge sul meccanismo di identificazione. Chi non ha avuto nella vita un’amica geniale?”.
Il titolo della lettura scenica, Da parte loro nessuna domanda imbarazzante, deriva da un verso di Wislawa Szymborska, scelto come motivo dominante dell’ultimo viaggio teatrale di Fanny & Alexander, la “bottega d’arte” che Chiara Lagani ha fondato nel 1992 assieme a Luigi De Angelis (nel 1997 si è aggiunto Marco Cavalcoli).
Per loro, le parole e i silenzi, la letteratura e l’azione scenica, i movimenti e il suono, occupano da sempre spazi ugualmente significativi: “All’inizio ci siamo detti: partiamo dalle parole della Ferrante. E seguendo l’episodio delle bambole, ci siamo trovati a sperimentare una dimensione teatrale in cui le voci si moltiplicavano” conclude Chiara Lagani. “Abbiamo intrapreso un viaggio interiore in cui l’identità di Elena e di Lila si sovrappongono fino a confondersi. Perché nell’amicizia vera spesso l’altro è il tuo doppio”.

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Duetto d’autore nel segno della Ferrante, di Mariateresa Surianello | Il Manifesto, 14 ottobre 2017

Del chiacchiericcio mediatico e transatlantico sull’identità della scrittrice che si firma Elena Ferrante non vi è traccia, nel pezzo di teatro che sta impegnando Chiara Lagani e Fiorenza Menni, due protagoniste, da un quarto di secolo, della ricerca italiana, con Fanny & Alexander e con il defunto Teatrino Clandestino. Che la scelta di lavorare su un’autrice tanto in voga e dibattuta da accademici e film maker potesse portare al tradimento dei rispettivi percorsi è un pericolo scampato. Da parte loro nessuna domanda imbarazzante, presentato a Centrale Preneste nell’ambito di Teatri di Vetro (il 18 e 19 ottobre lo spettacolo va in scena al festival Vie di Modena e poi a Forlì, Venezia e Rimini), è un duetto di attrici forte e strutturato che della misteriosa autrice utilizza brani tratti da L’amica geniale (Edizioni E/O) e dalla quadrilogia è ispirato, per quel rapporto amicale e per il sapore partenopeo di luoghi e micro situazioni. Seppure il lavoro arriva con una doppia intestazione Fanny & Alexander e Ateliersi (la nuova compagnia di Fiorenza Menni), quello che ne esce è una creazione nella cifra dei Fanny, per i quali il 2017 è l’anno delle 25 candeline: a firmarne regia e progetto sonoro è Luigi De Angelis, mentre la drammaturgia è della stessa Lagani.

In una scatola nera si ergono due figure in bianco, bloccate ma con le estremità mobilissime, diverse e distinte anche nel ritmo di questi loro movimenti incessanti di mani, braccia e piedi. Come fossero un corpo unico, da cui le voci escono intersecandosi una con l’altra. Pezzi di frasi si completano e prendono significato saltando di bocca in bocca o talvolta si ripetono per diventare suono. Sono due bambine, Elena (la narratrice) e Lila, nel loro quotidiano rionale, popolato di figure e luoghi paurosi e attraenti. Complicità e sadismi infantili ne suggellano una lunga amicizia, fino alla vecchiaia, da quando Lila getta la bambola di Elena nel buio di una cantina ed Elena per emulazione compie lo stesso gesto.

L’emozione cresce con la discesa nel terrorifico antro, nell’inutile ricerca delle due bambole. Tina e Nu sono sparite! Ma nella seconda parte, ritrovando le due figure in nero, crediamo siano forse le bambole perdute, per quel movimento che si fa più meccanico, con le voci alterate da distorsioni sintetiche. Mentre la realtà si rifrange nelle scritture di Toti Scialoja, Wislawa Szymborska – da cui si è rubato il titolo – e nel lungamente frequentato, col Mago di Oz, L. Frank Baum.

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Giochi al buio de “L’Amica Geniale”, di Massimo Marino | Corriere di Bologna, 18 ottobre 2017

Due bambine, due amiche. Due bambole gettate per sfida in uno scantinato nero. Due bambole che spariscono, rapite dal buio o forse da un orco, e che poi sembrano prendere vita con versi di favole e di poeti, Frank Baum, Toti Scialoja, Wislawa Szymborska. Da parte loro nessuna domanda imbarazzante, in scena stasera alle 21.30 e domani alle 21 al teatro delle Passioni di Modena, è ispirato all’Amica geniale, primo capitolo della tetralogia narrativa di successo di Elena Ferrante. Lo presentano a Vie Festival Chiara Lagani e Fiorenza Menni con la regia di Luigi De Angelis, una collaborazione tra Fanny & Alexander e Ateliersi. Torna, per Fanny, il tema del gioco, e quello dell’infanzia stupita e continuamente minacciata. Torna la collaborazione tra compagnie di ricerca nate negli anni 90. “Ci incontriamo di nuovo con Fiorenza – ricorda il regista – con cui avevamo collaborato varie volte: l’ultima in due tappe del progetto dedicato al Mago di Oz di Baum”.
La passione per la saga della misteriosa Elena Ferrante è nata in Chiara Lagani, “ma a poco a poco ha contagiato tutti noi, come ha fatto con moltissimi lettori”, ammette De Angelis. “Forse per la grande tossicità del legami tra le due amiche, nate in un quartiere periferico di Napoli, che continuano a intrecciare le loro storie dall’infanzia all’età adulta”.
Continua il regista (la drammaturgia dello spettacolo è di Chiara Lagani, mentre i due con Florenza Menni firmano l’ideazione): “Le due protagoniste dei romanzi, Elena e Lila, sono come contenute l’una nell’altra; si parlano anche in assenza, come se il corpo e le emozioni di ognuna fossero guidate dal corpo e dalle emozioni dell’amica”.
Per rendere questa dipendenza, la compagnia, da sempre interessata alle tematiche dell’eterodirezione, ha lavorato a creare una particolare grammatica corporea: “Siamo partiti dai lemmi coreografici di Trisha Brown e di Pina Bausch, che in questo caso servono a incarare un’interdipendenza caleidoscopica, in uno spettacolo diviso in una parte bianca e in una nera, due temperature psichiche che si attraggono vicendevolmente”. Questo spettacolo è solo l’inizio di un trittico che comporrà, in tre fasi, un’unica opera scenica dal romanzo.

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Storie di amiche e di bambole, di Gianluca Poggi | Gazzetta, 19 ottobre 2017

“Da parte loro nessuna domanda imbarazzante”, stasera alle 21 al Teatro delle Passioni, si mette sulle tracce di “L’amica geniale” della Ferrante. Sul palco Chiara Lagani e Fiorenza Menni.

Perché partire dalla Ferrante?
CL: Prima di iniziare “L’amica geniale” non conoscevo l’autrice. Nonostante la mia resistenza ai fenomeni mainstream, preso in mano questo libro sono stata colpita dalla “Ferrante fever”. Rileggendolo con Fiorenza, la nostra ventennale amicizia geniale si è intrecciata alla storia raccontata e il progetto ha preso forma.

Attraverso quale lavoro drammaturgico e attoriale?
CL: La “smarginatura” di cui parla la Ferrante, una specie di affezione sensibile per cui i confini delle cose perdono improvvisamente consistenza, si è facilmente prestata al metodo di indagine che adoperiamo da un decennio: l’eterodirezione. L’attore è attraversato da un’onda, un testo recitato da una voce terza, che come una strana superficie sensibile rompe i confini materiali che separano due corpi, le energie si fondono e confondono.
FM: Con questa formula teatrale esploriamo la libertà sprigionata dall’incontro tra testo e corpo, al fine di consegnare al pubblico un’immediatezza e un ritmo in grado di far arrivare la potenza del libro e la nostra interpretazione.

Qual è la domanda imbarazzante?
FM: Per me è innanzitutto quella drammaturgica di Chiara all’autrice, imperniata su una questione intima con la scrittrice e il suo testo, in una maniera interessante e delicata, anche prendendo in prestito la parola poetica della Szymborska per il titolo. CL: La domanda è molteplice e passa attraverso le due bambole a cui diamo vita per rievocare tutto l’universo del romanzo. È imbarazzante come rottura del senso del pudore e dell’identità nel rispecchiamento reciproco di un’amicizia vorticosa, violenta. L’imbarazzo è nell’accostarci alle parole dell’autrice e tradurle in teatro. Imbarazzante è mescolare al testo una dimensione biografica stretta, magari nascosta ma che rientra inevitabilmente nelle dinamiche relazionali del processo creativo. Nessuna domanda imbarazzante, infine perché le bambole sono oggetti inanimati, non hanno pudore né imbarazzo, testimoni silenti. Eppure l’imbarazzo e la paura restano sul fondo, a inquietare e muovere il nostro progetto.

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Da parte loro nessuna domanda imbarazzante – regia Luigi De Angelis, di Nicola Arrigoni | Sipario, 21 dicembre 2017

Da parte loro nessuna domanda imbarazzante è il primo tassello di un percorso – come usa fare Fanny & Alexander -, un percorso all’interno de L’amica geniale di Elena Ferrante, un viaggio in quella scrittura risonante e perturbante che Chiara Lagani e Luigi De Angelis insieme a Fiorenza Menni indagano, esperiscono attraverso il corpo, la voce, la musica, il movimento che si fa danza, l’esserci che si fa teatro. Nel primo dei quattro romanzi del ciclo L’amica geniale di Elena Ferrante, due bambine gettano per reciproca sfida le loro bambole nella profondità di uno scantinato. Quando vanno a cercarle, le bambole non ci sono più. Le due bambine, convinte che don Achille, l’orco della loro infanzia, le abbia rubate, un giorno trovano il coraggio di andare a reclamarle. Questa è la storia, questo il pre-testo, questo l’oggetto recitato e incarnato da Chiara Lagani e Fiorenza Menni di biancovestite prima, poi di nero, le due bimbe Lila e Lenù prima, poi le due bambole emerse da quella cantina, oppure le due bimbe morte con abito nero, labbra rosse e pallore cadaverico. La tentazione narrativa di chi recupera dalla memoria lo spettacolo è fuorviante per questo primo tassello di lavoro sulla e nella scrittura di Elena Ferrante. Fiorenza Menni e Chiara Lagani si presentano al pubblico identiche, l’una specchio dell’altra, in uno spazio scenico vuoto, con alle spalle un velario nero, quasi di studio di posa fotografico o forse quel buio dello scantinato in cui precipitano le bambole e le bimbe stesse. Ciò che Lagani e Menni raccontano è corpo in movimento. Luigi De Angelis costruisce per le sue attrici un tessuto sonoro e coreografico di assoluta ed esaltante precisa costrizione, transcodifica ritmo della narrazione, sonorità della lingua in una sorta di potente costruzione coreografica in cui i corpi di Chiara Lagani e Fiorenza Menni diventano segno, suono, fonema e parola. È qui lo scatto di genio, è qui la provocazione semantica, è qui l’abisso che si apre davanti allo spettatore, l’abisso del linguaggio che evoca e crea. Ciò che Luigi De Angelis e le sue attrici realizzano è la trasposizione scenica della scrittura di Elena Ferrante, è il racconto di come la letteratura vera viva non tanto, o non solo di storie, ma di forma, di suono, di parole e bella scrittura, una scrittura che incide l’anima. Questo fanno Chiara Lagani e Fiorenza Menni costruiscono il legame fra le due donne in un intreccio coercitivo di parole, gesto, mimica, ritmo e tono, fanno in modo che il fonema, il significante piuttosto che il significato risuoni nello spettatore. Si assiste a Da parte loro nessuna domanda imbarazzante quasi in apnea, seguendo e facendosi coinvolgere dalla potenza espressiva delle due interpreti, vivendo la vicenda narrata da Ferrante come l’invito a farsi domande, forse imbarazzanti, a discapito del titolo, ma certamente disvelanti verità se non nascoste, taciute. Un piccolo capolavoro di cui si attende con fiducia il seguito.

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Due amiche portano Ferrante in scena, di Sarah Perruccio | Leggendaria, marzo 2018

La fortuna di Elena Ferrante e della sua tetralogia L’amica geniale ha da tempo superato i confini nazionali e, recen­temente, anche quelli della carta stampata. Sono molti gli adatta­menti per il teatro, la radio, la tv. Nel Regno Unito le vicende di Lila e Lenù sono state ascoltate nell’adattamento dell’eccellente drammaturga Tim­berlake Wertenbaker su BBCRadio4, nell’agosto 2017. Solo pochi mesi fa le due personagge hanno invece calcato le scene londinesi nella versione teatrale di un’altra autrice importante come April De Angelis, per la regia di Melly Still. Nel contempo sono in corso le riprese della serie tv co­prodotta da Italia e Stati Uniti, diretta da Saverio Costanzo, prima trasposizione televi­siva di un’opera dell’autrice. Su Repubblica, interrogata su una sua eventuale gelosia nei confronti dei propri lavori, Ferrante afferma di essere, piuttosto, incuriosita da «tutto ciò che ha a che fare col nesso autore­-libro-­lettore. Sce­neggiatori, registi sono lettori di un tipo particolare. Quando per il loro lavoro muovono da un libro, sono costretti a lasciare una traccia della loro lettura e, insieme, a dare testimonianza dei loro obiettivi di autore». Abbiamo parlato di questo processo di lettura e re­invenzione con Chiara Lagani e Fiorenza Menni, interpreti di uno straordinario adattamento della quadrilogia ferrantiana, dopo aver assistito allo spettacolo dal titolo Da parte loro nessuna domanda imbarazzante per la regia di Luigi de Angelis e la drammaturgia di Lagani (fondatori di Fanny & Alexander). In scena solo le due attrici: nella prima parte, vestite di bianco ripropongono le parole di Ferrante; nella seconda parte, trasfor­matesi in bambole, col viso dipinto e gli abiti neri, riscoprono i temi dell’opera ferrantiana ispirandosi però anche alle parole di altri autori, nella resa di Lagani che, proprio lo scorso anno, è stata insignita del riconoscimento “Per l’innovazione drammaturgica” del Pre­mio Riccione.

Ho appreso da un’intervista che tu, Chiara, hai letto per prima L’amica geniale poi hai chiesto a Fiorenza di leggerlo. Come vi siete confrontate nella lettura del romanzo?
Chiara ­A livello di lettura ci siamo lasciate in pace. Va bene, quando l’ho letto pensavo a Fiorenza però in quel momento non avevo la possibilità di farlo: c’erano altri progetti. Così ho aspettato di finire tutti i libri, è passato un anno, e l’idea ha resistito… poi, per la prima volta, via messaggino…
Fiorenza­ Un messaggino in cui mi chiedeva: «hai per caso letto L’amica geniale?». In realtà l’aveva appeno ter­minato il mio compagno al capezzale di mio padre. Siamo stati lì un mese. E le ho risposto appunto «l’ha letto An­drea, e ti pare che io abbia letto L’amica geniale? Ti sembro una tipa da L’amica geniale?». Anche se in realtà Andrea l’aveva amato moltissimo.

E poi?
Fiorenza E poi ovviamente l’ho letto. L’ho letto proprio come il libro ti chiede di leggerlo, non ti stacchi. Però avevo questa doppia lettura, terrificante, piena d’amore, piena di dolore, piena di rabbia, in certi momenti anche di gran­ di risate, che era la sua lettura. Leggevo e pensavo “ah, quindi Chiara questa cosa l’ha vissuta in questo modo. Per Chiara io sono così oppure lei è così”. È stata una lettura un po’ strana, con questo doppio salto del rapporto con la scrittura e del rapporto con Chiara in relazione al nostro percorso.

Questo spettacolo è diviso in due parti, interpretato da due attrici, due corpi e almeno due voci che si dividono e si scambiano le stesse parole. Perché questa scelta di non definire i personaggi e di sovrapporre tutte queste voci?
Chiara
Inizialmente è stata una di­rezione di esigenza. Noi abbiamo ot­tenuto i diritti con la richiesta di non manipolare il testo. Io ho cominciato a pensare: il teatro è un mondo diverso dalla letteratura quindi un fenomeno di traduzione bisogna sempre farlo. Se devo rimanere fedele a quella scrittura Lila non esiste in quanto tale ma come una proiezione di Elena. Come mettere in scena questa doppia natura? Ho pen­sato: forse la soluzione la indica il testo, bisogna lavorare in maniera proiettiva in modo che l’una sia sempre il sintomo dell’altra; e che l’agire e il dire dell’altra sia la conseguenza di questo sintomo. Quindi usiamo le parole di Elena ma – siccome Elena incuba continuamente l’immagine di Lila (forse manipolando­la, distorcendola, non lo potremo mai sapere) –noi conosciamo Lila attraverso Elena forse più vividamente che se la conoscessimo personalmente. Anche le due attrici devono attraversare la stessa esperienza. Semplicemente l’abbiamo resa reversibile cioè, senza forzare la mano al testo, questo meccanismo proiettivo non parte solamente da Elena ma si riversa pure su Lila, anche laddove la grammatica indica che è Elena, in quel momento a esercitare la proiezione.

Non è possibile identificare le due personagge in modo definitivo ma, assistendo allo spettacolo, è difficile impedirsi di tentare.
Chiara All’inizio ci sono due corpi ipostatici, due figure, poi a un certo punto il testo è costruito in modo tale che ti venga il dubbio e che, quindi, una identificazione la cominci a tentare. Deve rimanere una pista che a poco a poco si approfondisce, tanto che nel prosieguo, nel secondo tempo, queste due identità andranno a definirsi, a rimarcarsi, e si lavorerà in maniera più spiccata sulle parti dialogiche del ro­manzo senza che diventino però i clas­sici personaggi teatrali. Questo perché il piano letterario della terza persona, questo uscire dal personaggio e parlare di sé e della situazione, sarà meno mar­cato di quello che avete visto: è neces­saria un’evoluzione drammaturgica se vogliamo creare una maratona. A poco a poco lo spettatore deve essere risuc­chiato nel meccanismo narrativo del romanzo. È come procedere per gradi.

In questo lavoro usate il metodo dell’eterodirezione che Fanny & Alexander ha inventato e porta avanti da molti anni. Come funziona?
Chiara Ci sono tante forme di etero­ direzione ma tutte hanno una cosa in comune. L’attore va in scena senza un testo o una partitura fisico-­gestuale a memoria, come una pagina bianca. L’attore ha un auricolare: in un orecchio passa il testo, nell’altro la partitura di gesti che sono stati creati in preceden­za. C’è un vocabolario concordato che viene battezzato di comune accordo ed entra nel grande vocabolario dell’ete­rodirezione che ormai conta centinaia di pezzi. Tu sei come in balia di qualcosa che non ti depriva completamente della volontà ma ti libera dallo sforzo di memoria: cosa devi dire, cosa devi fare. Si costruiscono ordini di memo­ ria più sentimentali. Io non so il testo a memoria.

Nelle prove cosa accade, dal momento che è escluso l’aspetto della memoria?
Chiara Luigi (De Angelis, ndr) costrui­sce la partitura su di noi. Il testo è scrit­to su un file audio e viene trascritto in un secondo momento. Luigi comincia a imbastire su questo testo una partitura coreografica legata al vocabolario di gesti che è stato fin’ ora creato e su cui ci si è specializzati.
Fiorenza E che è stato a lui consegna­to.
Chiara Quindi lui crea una partitura complessa fatta di testo e gesti, che non è detto che vada bene perché i corpi poi devono reagire a questa cosa. Magari ci sono degli spazi da creare o dei gesti che non sono adatti a un corpo, in quel­la circostanza, e allora lui li cambia. Perché i gesti scrivono come il testo. L’eterodirezione è fatta così.
Fiorenza È anche un abbandono, una fiducia totale. Quando inizi a fare un gesto puoi trovare una resistenza ma devi dire al tuo corpo di non resistere a nulla…
Chiara Di accogliere e trasformare. Abbiamo mani diverse, piedi diversi, il corpo deve comportarsi a seconda delle sue possibilità …
Fiorenza … o dei suoi abbandoni. Io li chiamerei proprio abbandoni: ci si abbandona a un gesto in un modo e a un altro gesto in un altro modo.
Chiara E non esiste un corpo uguale all’altro e non esiste una possibilità di partitura uguale all’altra, per me que­sta è la bellezza di questo metodo. Se tu vedessi un coro di cinquanta individui con la stessa partitura vedresti un coro molto vario.

Questo metodo mi fa pensare a come Lila e Lenù a volte si influenzino a vicenda, anche nell’assenza, agendo l’una in risposta a una sorta di comando interiore che nasce dal fantasma dell’altra. Possiamo fare un parallelo con l’eterodirezione?
Fiorenza Io credo che questo tra di lo­ro ci sia. Nell’amicizia tu non puoi non sentire cosa accade dall’altra parte del mondo. È un sentire che passa completa­mente da altri canali come, secondo me, l’eterodirezione fa. Ricollegando all’amicizia: cosa avviene tra me e lei? Effettivamente siamo fisicamente vi­cine ma talmente isolate che quindi la nostra percezione è di altro tipo. Io, oltre a non sapere a memoria quello che dico, non so neanche quello che dice lei perché non ci sentiamo. Non ci sentia­mo in quel modo lì. Siamo comunque a fianco e la nostra vicinanza, il nostro agire insieme sul palco, si nutre di altri sensori, di altre possibilità.

E questo vi porta in qualche modo a vivere nell’eterno presente dell’infanzia che ritroviamo anche ne L’Amica Geniale e ciò dà forse ancora più peso alla teatralità di questo testo che parte però dalla narrativa.
Chiara Il teatro da sempre chiede que­sto e si è inventato tante tecniche per far rimanere l’attore lì in quel presente. Questa è una delle tecniche possibili che noi abbiamo applicato al nostro lavoro ormai da dieci anni. C’è una consegna di sé a qualcosa in questo me­todo. In questo caso a maggior ragione, perché è un testo letterario profonda­mente amato e c’è anche la sensazione di restituirlo alle altre persone. Alcune delle quali lo hanno letto, altri magari non lo hanno letto, potrebbero decide­re di leggerlo e altri di ritornarci sopra. Io sento tanto questa responsabilità avendo trattato un testo di letteratu­ra che per me è importante leggere. E quindi mi dispongo veramente come pagina vuota che possa essere letta.

Il 22, 23 giugno al Napoli Teatro Festival debutterà l’ultima parte di questo progetto: Storia di un’amicizia. Poi al Ravenna Festival il 5 luglio.
Chiara Sì, nell’epilogo verrà lavorata l’idea della scomparsa che è l’idea prin­cipe di tutta la tetralogia. E quindi il congedo da queste due entità che sono nate.